La disciplina, attesa da anni, dovrebbe garantire ai cittadini servizi migliori a prezzi più competitivi e al tempo stesso a dare agli enti reali poteri regolatori e di programmazione. Ma il diavolo si nasconde nei dettagli
Una riforma utile e ben congegnata, se non fosse che al suo interno nasconde almeno un paio di norme che consentono di aggirare lo spirito stesso della legge e la normativa europea sulle concessioni e gli affidamenti dei servizi. Stiamo parlando del Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale in discussione in questi giorni alla Camera e la cui approvazione – di rinvio in rinvio – è attesa non prima del 25 ottobre. La disciplina, attesa da anni, è volta a garantire ai cittadini servizi migliori a prezzi più competitivi e al tempo stesso a conferire agli enti locali reali poteri regolatori e di programmazione nell’ambito dell’erogazione dei servizi pubblici.
Il Testo unico è stato accolto con sostanziale favore da Regioni e Enti locali che in ambito di conferenza unificata hanno avanzato alcune proposte di modifica molto specifiche (come ad esempio sull’affidamento dei servizi in house), condividendo l’impianto generale della riforma. Il Consiglio di Stato ha invece messo in evidenza alcune gravi incongruenze, come la possibilità di ottenere una proroga del termine degli affidamenti o delle concessioni in caso di fusioni o aggregazioni societarie e una norma che potrebbe favorire accordi spartitori da parte degli operatori di settore. Su questi due aspetti, così come su altri punti della riforma i deputati di Alternativa Libera Massimo Artini, Marco Baldassarre, Eleonora Bechis, Samuele Segoni e Tancredi Turco, hanno presentato in Commissione Affari Costituzionali un parere volto a bloccare il meccanismo delle proroghe delle concessioni, limitare gli affidamenti in caso di presentazione di una sola offerta ed estendere le inconferibilità degli incarichi ai conviventi e ai commensali abituali dei politici e dei dirigenti pubblici.
Ma andiamo con ordine: l’articolo 33 del Testo Unico prevede delle “premialità a favore di concorrenza e aggregazioni” e recita che il gestore che è subentrato al concessionario iniziale (di un servizio pubblico locale di interesse economico generale) per effetto di operazioni societarie tra cui fusioni e acquisizioni possa chiedere l’accertamento della “persistenza dei criteri qualitativi e la permanenza delle condizioni di equilibrio economico-finanziario al fine di procedere, ove necessario, alla loro rideterminazione, anche tramite l’aggiornamento del termine di scadenza di tutte o di alcune delle concessioni in essere”. In sostanza, siamo in presenza di un meccanismo che consente la proroga di concessioni e affidamenti in scadenza senza la necessità di fare una nuova gara. Per aggirare l’obbligo basta infatti varare un’operazione societaria. Certo, la proroga non è automatica: a decidere sarà comunque il soggetto competente, ma c’è il rischio di arrivare a situazioni paradossali di proroghe a ripetizione a favore dello stesso soggetto, in barba alla normativa europea e alla stessa volontà del Testo Unico di assicurare ai cittadini servizi pubblici efficienti a costi competitivi. La norma infatti si applicherebbe a tutti i servizi pubblici locali, dai trasporti ai rifiuti, passando per gli acquedotti e per decine di altri servizi.
Il Consiglio di Stato, nel suo parere sulle nuove disposizioni di legge, osserva che vi è il concreto “pericolo di un’alterazione postuma delle condizioni essenziali stabilite nella fase di evidenza pubblica, in violazione dei principi della par condicio, della trasparenza e della non discriminazione, con la precisazione che l’aggiornamento del termine di scadenza si risolverebbe in una vera e propria elusione della procedura di evidenza pubblica”. Palazzo Spada pertanto suggerisce di espungere dalla norma la possibilità di proroga delle concessioni o degli affidamenti.
Come detto, però, non è questa l’unica incongruenza. L’articolo 14 prevede che nell’ambito del trasporto pubblico “nei casi disciplinati dall’Autorità, con riferimento a lotti comprendenti un’utenza maggiore di 350.000 abitanti e riguardanti il trasporto su gomma, l’aggiudicazione del servizio a conclusione della procedura di scelta del contraente avviene in presenza di almeno due offerte valide”. Però, subito dopo, si legge: “In caso di unica offerta l’aggiudicazione avviene solo per motivi di necessità e urgenza e comporta l’affidamento per una durata non superiore a tre anni”. Ed è questa la scappatoia stigmatizzata dal Consiglio di Stato, secondo cui “la disposizione si presta ad un uso strumentale ed a possibili abusi da parte degli operatori del settore che potrebbero partimentare di fatto il proprio accesso ai singoli bacini di mobilità, accordandosi per presentare una sola offerta in ciascuna gara diretta a soddisfare i singoli bacini di mobilità”. Insomma, una norma che potrebbe favorire intese spartitorie tra gli operatori in barba al principio della concorrenza, dell’economicità e della qualità dei servizi offerti ai cittadini.
Per quanto riguarda le incompatibilità degli incarichi nei servizi pubblici locali (art. 19), il Testo Unico vieta ai politici, ai loro coniugi e parenti fino al quarto grado di ricoprire incarichi professionali, di amministrazione o di controllo, né incarichi inerenti alla gestione del servizio. Secondo il Consiglio di Stato si tratta di un limite non adeguato perché “non colpisce situazioni sostanziali” di vicinanza tra chi dovrebbe gestire il servizio e chi ha invece il compito di controllarne il funzionamento (politici e dirigenti di enti). Il suggerimento di Palazzo Spada è quello di utilizzare gli stessi criteri che determinano l’astensione del giudice per stabilire le inconferibilità, vale a dire “se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori”. Inoltre, la norma prevede che le inconferibilità si applichino esclusivamente “alle nomine e agli incarichi conferiti successivamente all’entrata in vigore del presente decreto”, con il deprecabile risultato che gli incarichi continuerebbero ad essere svolti da parenti, amici e clientes che i politici locali hanno infilato nella miriade di aziende speciali, ex municipalizzate e società affidatarie di servizi pubblici locali.
Un ultimo aspetto critico del Testo Unico riguarda poi l’affidamento dei servizi in house da parte degli enti locali: le nuove norme rendono estremamente difficile questa procedura e ne limitano la durata a soli cinque anni, un termine che potrebbe rivelarsi inadeguato rispetto ai tempi di ammortamento degli investimenti e comunque discriminatorio. Con questa penalizzazione vengono riproposte in forma diversa norme abrogate dal Referendum 2011 sull’acqua pubblica e dalle successive pronunce della Corte Costituzionale. Secondo il Consiglio di Stato, la nuova formulazione, che prevede comunque una discrezionalità di scelta da parte dell’ente locale sulla possibilità di affidare un servizio in house (come ad esempio la gestione dell’acquedotto), potrebbe “superare indenne” l’obiezione di incostituzionalità, ma Regioni ed enti locali hanno chiesto a gran voce di modificarlo e il governo ha già dato disponibilità in questo senso. C’è da augurarsi che oltre alla questione degli affidamenti in house, vengano emendate anche le altre norme controverse.