La “Lettera 22” per gli appassionati rappresenta un oggetto di culto; sembra passato un tempo infinito da quando i suoi tasti hanno generato tante pagine memorabili, arricchendo il panorama letterario mondiale. Questa ormai mitica macchina per scrivere, spesso, è stata vista accanto ad intellettuali che hanno lasciato il segno per aver tracciato sentieri attraverso i quali oggi è possibile incamminarsi per seguire le loro orme.
Il nuovo libro di Giuseppe Lupo La letteratura al tempo di Adriano Olivetti (Edizioni di Comunità) traccia proprio questa mappa letteraria, portando all’attenzione del lettore una serie di storie generate dal “sottosuolo dell’olivettismo”. Non solo dunque macchine per scrivere, ma un modello aziendale proiettato verso un modello di nazione con un’idea di industria fondata sulla partecipazione, sul dialogo, quasi un manifesto di un nuovo illuminismo popolato da scrittori, filosofi, artisti, architetti, sociologi.
Intorno alla figura di Adriano Olivetti è nata una “comunità” che ha favorito la ricostruzione morale e civile, prima ancora che economica del Paese. Il lavoro di Lupo – professore associato di Letteratura italiana contemporanea all’Università Cattolica di Milano – parte dal 1946 e affronta sin dalle prime righe il mondo che nasceva dalle macerie con un bisogno di cambiamento radicale. La cultura, in questo caso, è stato il cemento sostenibile per costruire un ponte tra un passato da dimenticare e un futuro da inventare.
Ecco, appunto inventare, innovare. Concetti che di questi tempi sembrano scontati e resi spesso vuoti dall’emorragia tecnologica. Invece, l’ottimo libro di Lupo, tra i massimi esperti di letteratura industriale, ci aiuta a capire l’universo unico nel suo genere che si è popolato grazie al carisma di Olivetti. Ne conseguono mirabili scritti di pregiati autori (tra i quali Calvino, Ottieri, Volponi e Weil) che raccontano la fabbrica quale nucleo archetipo della società contemporanea, luogo di solitudine e di riscatto.
Sottolinea l’autore che “olivettiane non sono solo le opere che narrano gli stabilimenti destinati alla produzione di macchine per scrivere o l’imprenditore, ma anche quell’altra letteratura che, pur non trattando né dell’una né dell’altro, sono il prodotto di un’esperienza intellettuale legata a vario titolo all’impresa che ha avuto sede principale a Ivrea“. Una delle prime regole a cui obbedisce la letteratura olivettiana – scrive Lupo – è la dimensione di posterità; quel particolare sguardo che opera una sorta di storicizzazione del passato, sia pure prossimo, e che trascina il tono del racconto nella sensazione di finito.
Il tutto passa attraverso le suggestioni di Olivetti che in uno dei passaggi della sua Città dell’uomo, individuava nell’industria uno “strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza” e Natalia Ginzburg descrive l’autore di queste suggestioni con un ritratto in controluce nello splendido Lessico Famigliare. Siamo nel 1963 e la Ginzburg nel suo appassionato ritratto ci consegna il passaggio dall’uomo all’Esempio; è questo uno dei passi più alti che il libro di Lupo ci permette di cogliere.
Autorevoli scrittori campeggiano nella bella copertina come stelle intermittenti capaci di illuminare e di ricordare il favoloso mondo di Adriano; l’autore ne riporta numerosi frammenti di enorme spessore letterario e di grande intensità emotiva. E così in questo contesto “concretamente utopistico” Franco Fortini, lavoratore all’Olivetti, creò un nome immortale: “Lettera 22”. Ci piace immaginare il ticchettio dei tasti nel momento stesso della creazione di tanta letteratura senza tempo nel nome e nell’esempio di Adriano Olivetti.