“I vertici politici del Regno Unito hanno perso ogni razionalità“. Paul De Grauwe, belga, John Paulson Chair in European Political Economy alla London School of Economics e autore di Economia dell’unione monetaria, è incredulo. In una mail inviata la scorsa settimana ad alcuni suoi colleghi non britannici della Lse, il Foreign Office li ha informati che non saranno più consultati su Brexit a causa della loro nazionalità.
Cosa ne pensa?
“Il provvedimento non riguarda me, che non sono mai stato coinvolto in questo tipo di consulenze dal governo inglese. Il Foreign office fra l’altro ha fatto una parziale marcia indietro. Quello che è chiaro è che i vertici politici di questo paese hanno perso ogni razionalità. Sono in preda ad emozioni estreme, che non tengono conto della necessità di prepararsi ad una trattativa molto difficile“.
Il processo formale di uscita sarà avviato entro marzo, ma la pubblica amministrazione non ha i negoziatori necessari a gestire le complesse trattative. Il Ministero per Brexit ha attualmente solo otto dei 32 dirigenti necessari e da fonti giornalistiche risulta che stia escludendo candidati non britannici dalle selezioni. È possibile gestire l’uscita senza esperti stranieri?
“Dovranno assumerli alla fine. Quello a cui stiamo assistendo è un caos totale, provocato dalle spaccature interne al Partito Conservatore. Da qui una generica ostilità verso lo straniero. È un arroccamento ideologico che costerà caro, ma è il risultato di una scelta politica precisa. Funzionerà? Ne dubito. Hanno fatto una scelta stupida e dovranno pagarne le conseguenze”.
Qual è sua analisi dei fattori che hanno portato al voto per l’uscita?
“Da una parte, fra i conservatori e non solo, l’esistenza di un sentimento nostalgico, di un desiderio irrazionale di recupero della sovranità nazionale. Su questo ha avuto facile presa l’ostilità per lo straniero: tutto ciò che è europeo è il male e bisogna riprendere il controllo del proprio paese. Questo sentimento è condiviso e propagandato soprattutto dai politici, mentre la gente comune ha preoccupazioni diverse: l’accesso al lavoro e alla casa, soprattutto, e un senso di frustrazione e insoddisfazione per gli effetti della globalizzazione sul mercato del lavoro. Sono sentimenti diffusi in tutta Europa, ma nel Regno Unito si sono uniti alle tradizionali rivendicazioni nazionalistiche e autonomiste di una parte politica. È questo cocktail di gruppi diversi con esigenze diverse che ha cambiato il volto di questo Paese, rendendolo un Paese orientato al protezionismo, dove la componente aperta e cosmopolita è oggi sulla difensiva. Ed è per questo che si arriverà ad una hard brexit, una soluzione che non è di certo la migliore per l’economia britannica. Hanno prevalso considerazioni irrazionali, estremiste“.
Quale sarà l’impatto economico di una hard-Brexit per il Regno Unito e per l’Unione Europea?
“Le conseguenze economiche più gravi le pagherà il Regno Unito, con un prevedibile aumento dei prezzi, una perdita consistente di welfare e una contrazione generale dell’economia. L’Unione europea non subirà uno shock economico molto forte visto che il Regno Unito è relativamente piccolo rispetto alla massa degli altri Paesi. Ma potrebbe pagarne il prezzo politico, perché non c’è consenso fra i diversi paesi membri sul tipo di accordo post Brexit. Alcuni paesi, come la Germania e i paesi scandinavi, esportano molto verso il Regno Unito e sembrano orientati ad un accordo favorevole. Altri hanno un orientamento contrario. Questo può creare una spaccatura profonda all’interno dell’Unione”.
Quali saranno le conseguenze del crollo della sterlina, nel breve e nel lungo termine?
“Il valore della moneta è sempre soggetto a variazioni. Nel lungo termine, una sterlina svalutata è un’ottima notizia per l’economia britannica, perché ovviamente incrementa le esportazioni. Sul lungo periodo può portare ad un aumento dei prezzi, ma non sono le oscillazioni della moneta il problema: il nodo per il futuro economica del Regno Unito è il tipo di accordo che il governo riuscirà ad ottenere. Ma per avere chiarezza su questo ci vorrà molto tempo e si tratterà di una trattativa molto complicata”.
Se il governo britannico le chiedesse una consulenza su Brexit, quale sarebbe il suo primo consiglio?
“Il consiglio che darei è di mettere da parte gli interessi di parte e pensare al bene economico del paese mantenendo la relazione più stretta possibile con l’Unione. Ma in questo momento, un consiglio del genere verrebbe liquidato subito, perché a dominare l’agenda non sono le priorità economiche ma la propaganda politica e la necessità, tutta interna, di tenere insieme i Conservatori. Il Partito Conservatore è stato un grande partito, aperto, intelligente. Ora si è ridotto ad una succursale dell’Ukip. Sembra essere Farage a dettare la linea. A dominare è l’ala più retriva e miope: e malgrado gli slogan a favore della working class, è chiaro che a questa classe politica interessano solo i voti, non il destino economico della gente comune e del paese. Un esito tristissimo”.