L’8 giugno 1972 il fotoreporter Nick Ut fu autore di uno scatto passato alla storia. Un’istantanea che tutti abbiamo visto almeno una volta e che ultimamente è tornata di attualità, quando l’algoritmo di Facebook l’ha erroneamente censurata. La foto ritrae Kim Phúc, allora bambina, nuda, in fuga dopo un attacco al napalm al suo villaggio.
Subito dopo aver scattato quella foto, Ut corse immediatamente a svilupparla, sicuro di aver realizzato lo “scatto della vita”. E raccontò poi di aver tratto conferma di ciò da un dettaglio: il numero del negativo nella pellicola, il sette. Il fratello di Ut era morto due mesi prima ed era un soldato statunitense del reggimento numero sette: poco prima di morire, aveva chiesto a Nick di scattare la foto definitiva sul Vietnam, quella necessaria a mettere fine alla guerra. E così sarebbe stato.
Si può partire da qui, da questo senso di missione del fotoreporter, e da una fede autentica nel potere del mezzo fotografico, per descrivere la vocazione del Festival della Fotografia Etica. Inaugurata a Lodi sabato scorso e in programma per i prossimi tre fine settimana, la rassegna è dedicata alla fotografia in grado di parlare alle coscienze. Alle foto che possano indagare senza preconcetti la vita ordinaria di persone, popoli, luoghi, che rischiano altrimenti di essere risucchiati dal vortice delle breaking news, dall’assuefazione da overload informativo. Protagonisti dell’evento, giunto alla sua settima edizione, sono fotoreporter di livello internazionale, le cui mostre sono suddivise in percorsi tematici allestiti in vari luoghi del centro storico.
Spazio innanzitutto a Le vite degli altri, alla quotidianità di popolazioni che vivono ai confini estremi del mondo da un punto di vista geografico e culturale. Ed ecco dunque l’esposizione del lavoro che Peter Van Angtmael ha dedicato al Ku Klux Klan, scatti che ben inquadrano l’humus immarcescibile da cui sortiscono poi le tensioni razziali degli ultimi mesi e l’estremismo di Donald Trump.
In questa sezione le foto di Aaron Huey sulle condizioni di vita degli Oglala Lakota, tribù indiana che vive isolata dal mondo nella riserva statunitense di Pine Ridge, e anche la mostra Suburbia, di Arnau Bach, ambientata nei sobborghi parigini, dove le giornate sono scandite dal rap quale unica possibilità di riscatto dall’emarginazione. Per finire con le istantanee di Elena Chernyshova, scattate a Norlisk, Russia, circolo polare artico, con la luce perennemente notturna del più grande complesso metallurgico e minerario del mondo, una delle dieci città più inquinate del pianeta.
Dal 2011 nell’ambito del Festival di Fotografia Etica è attivo il World.Report Award, premio nato per dare un contributo concreto a chi promuove un fotogiornalismo sensibile alle esigenze sociali più che alle logiche di mercato. Ed è ad esempio in questo spazio Latidoamerica, raccolta di foto scattate in Honduras da Javier Arcenillas, fotografo basco che ha dedicato anni di lavoro a indagare gli effetti della violenza sulla vita delle persone e dei popoli. Presenti inoltre in questa sezione i lavori di William Daniels sulla Repubblica centrafricana, di Francesco Comello sulla Russia, Sadegh Ghouri sulle carceri femminili in Iran, e dei Premi Voglino 2015 Karim El Maktafi e Laura Liverani.
Non può naturalmente mancare uno spazio destinato alle Ong, che sono spesso protagoniste della pubblicazione di fotografie in grado di raccontare vicende nascoste ma rilevanti e di comunicare messaggi ad alto valore etico: Alberto Prina, uno degli organizzatori del Festival, ha riconosciuto proprio in questa sezione il fulcro da cui nel 2010 è nata la rassegna. E’ in questo percorso la mostra To the last drop di Dmitri Leltshuk, cui Greenpeace ha commissionato un lavoro di testimonianza delle condizioni di vita nella Repubblica Komi, dove la Russia sta sacrificando sull’altare del petrolio l’allevamento delle renne, da secoli principale fonte di sostentamento della popolazione. Nello stesso spazio anche i reportage di Laura Aggio Caldon con Unicef Libano e Claudia Andujar per Survival International.
Spazio infine al toccante lavoro A Life in Death, dove attraverso la fotografia Nancy Borowick ha raccontato la battaglia congiunta dei propri genitori contro il cancro. A margine del programma ufficiale, per tutta la durata del festival verranno tenuti incontri, dibattiti, presentazioni ed eventi sul fotoreportage: il biglietto per accedere dura sino al termine della rassegna, 30 ottobre 2016.