Se glielo avessero consentito le condizioni di salute è facile immaginare che Dario Fo sarebbe salito con il suo entusiasmo di “anziano” indomito sul palco della Woodstock del No ideata da Il Fatto Quotidiano per il semplice motivo che non ha mai disertato un appuntamento per difendere i valori costituzionali, ed in primo luogo la sovranità popolare insieme alla libertà di espressione e all’indipendenza della magistratura.

E’ stato un compagno di cammino costante e coerente per tutti quelli che nel corso degli anni si sono impegnati a difendere con ostinata continuità, in  presenza di qualsiasi maggioranza di governo, gli stessi principi e di conseguenza si sono sempre trovati marginalizzati e bollati come sabotatori, gufi o rompiscatole senza aggettivazioni.

Naturalmente se il rompiscatole dopo essere stato protagonista di episodi di censura storici e particolarmente “brutali” come avvenne già in quella Canzonissima di tanti decenni fa, è insignito del Nobel ed è uno degli autori italiani più tradotto e conosciuto nel mondo, allora come ha opportunamente ricordato Alessandro Di Battista, la retorica, gli etichettamenti e i tributi di circostanza post mortem si sprecano mentre il destinatario “si sta sganasciando” osservandoci da un luogo imprecisato.

A differenza di altri che hanno trovato giusto ed opportuno spendersi e metterci la faccia solo quando il potere aveva i tratti fin troppo riconoscibili per manifesta pericolosità del conflitto di interessi berlusconiano,  Dario Fo ha continuato il suo percorso senza dietrofront o pentimenti e ha creduto in quella che secondo lui, come nelle intenzioni dei fondatori, doveva essere la “rivoluzione culturale” prima che politica del M5S.  L’ha ribadito con forza nell’accurata e argomentata ricostruzione dell’impegno di Gianroberto Casaleggio, “uomo di conoscenza straordinaria”. Solo qualche mese fa, a poche ore dalla scomparsa di quello che, per usare il termine più benevolo veniva definito “il guru” del movimento, ma che era stato attaccato, deriso, denigrato, anche quando la malattia era già nota, da tutto il fronte politico-mediatico: lo stesso che post mortem ha sparso le scontate e ipocrite lacrime di coccodrillo.

Solo per sottolineare la linearità del percorso del cittadino Dario Fo e la sua passione civile non suscettibile di condizionamenti o di intermittenze mi piace ricordarlo molto prima dei V-Day e del sostegno al M5S.

Erano gli anni ormai remoti dei girotondi, della resistenza al berlusconismo e all’inciucio palese o latente del “Dalemoni” prima e del “Veltrusconi” a seguire. In un intervento, a cui non mi ero potuta sottrarre, davanti a una platea dove tra i “girotondini” c’erano molti militanti del Pd, più o meno mimetizzati, avevo denunciato senza mezzi termini le connivenze del “centrosinistra” con il Cavaliere: Nanni Moretti, organizzatore ed efficiente regista dell’iniziativa aveva ascoltato imperturbabile e accigliato.

Al contrario Dario Fo e Franca Rame che naturalmente non mi conoscevano, vennero a complimentarsi con una perfetta sconosciuta che aveva detto qualche ovvietà, scomoda anche lì, e mi lasciarono un biglietto con il loro recapito: purtroppo non li ho contattati in seguito ma ho sempre avuto la percezione di averli accanto e di continuare un cammino intrapreso insieme.

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