Cultura

Edward Hopper in mostra a Roma. Perché non ci si stanca mai del pittore statunitense

Fino al 12 febbraio 2017 è allestita al complesso del Vittoriano un'esposizione a che racconta il pittore statunitense: sessanta capolavori, realizzati tra il 1902 e il 1960, prestati eccezionalmente dal Whitney Museum di New York

di Claudia Rossi
Edward Hopper in mostra a Roma. Perché non ci si stanca mai del pittore statunitense

 

Hopper, Edward

Stuck in the middle with you è il titolo di una canzone degli Stealers Wheels piuttosto nota, non fosse altro che per l’uso che ne è stato fatto in film capolavoro (leggi alla voce Le Iene) e fortunate serie tv (come My name is Earl). Ora, probabilmente questo brano sarebbe anche un’ottima colonna sonora per starsene seduti a rimirare Soir Bleu, un dipinto di Edward Hopper datato 1914. Ideale, non tanto per una questione di attinenza delle immagini alle liriche, quanto piuttosto per quell'”essere impantanati lì nel mezzo”, nel momento presente, in una scena tanto grottesca quanto “inevitabile”. Il pagliaccio (che poi è lo stesso Hopper in un autoritratto) seduto con la sua malinconia esistenziale che tuttavia non ha niente di drammatico. C’è consapevolezza, mica rammarico. Un militare, un domatore, una coppia borghese, una puttana, uno sfruttatore. Grottesco e inevitabile. Il punto di vista è fuori, altrove: “Quando guardo un quadro di Hopper, immagino sempre dove lui abbia piazzato la cinepresa”, ha detto Wim Wenders.

E il regista di Paris, Texas conosce molto bene il pittore statunitense. Lo conosce e lo ama, al punto da citarlo in ogni film. Lo conosce e lo ama, al punto da avergli dedicato una mostra fotografica. Le grandi distese polverose squarciate da strade poco trafficate, incandescenti per via del sole dell’est. Le notti buie illuminate dalle insegne al neon di qualche bar poco frequentato. I distributori di benzina (Gas, 1940, è, per molti critici, un preludio alla pop art), gli edifici di una metropoli. La luce naturale che gioca con le pareti (“Il mio desiderio era di dipingere la luce riflessa sul muro di una casa”, ha detto lo stesso Hopper). Le donne, ritratte in camere semivuote o sul ciglio di una porta, sensuali eppure distaccate, tensione erotica cristallizzata.

Sembrano attori inconsapevoli, i protagonisti dei quadri di Hopper. Imperturbabili, calati in un presente che è quasi ricostruzione di un “set cinematografico”. Sarà per questo che non è stato solo Wenders ad attingere dall’immaginario di Hopper. Hitchcock, per esempio: la casa di Psycho è ispirata a quella rappresentata in House by the Railroad. Paralizzata nel tempo com’è, cupa eppure illuminata, non si riesce a immaginare abitazione più perfetta per il ruolo. E ancora, Lynch: la provincia americana hopperiana, i protagonisti (e gli spettatori) disorientati, quel “qualcosa che sta per accadere”, oppure è accaduto, mentre la scena si compie, nella sua immobilità. “Durante le riprese nella San Fernando Valley, un immenso dormitorio, studiai i quadri pieni di solitudini di Hopper. Cercavo tutte le ombre dei destini delle storie”, ha detto Altman. E i fratelli Cohen, Antonioni.  E poi il recente Shirley. Visions of Reality (2013) del regista austriaco Gustav Deutsch. Che è un omaggio di quelli in grande stile, una celebrazione in video del pittore amatissimo: “Tredici dipinti di Edward Hopper diventano tredici set, in una sintesi di pittura e cinema, storia personale e storia d’America”. E se non bastasse il cinema, arrivano i “gettoni di presenza” di fotografia, fumetti, merchandising, pubblicità. Nighthawks, 1942, è spunto per campagne stampa di ogni tipologia di prodotto, dal caffè alle borse griffate.

From Canvas to Celluloid: Edward Hopper on Film from Fandor Keyframe on Vimeo.

Ecco perché Hopper lo conoscono tutti, anche se non tutti ne associano il nome alle tele: la sua opera è così presente nel nostro immaginario da essere diventata aggettivo, spunto per grandi registi, così come per viaggiatori “coast to coast”. Arte ‘popolare’, impareggiabile. Nato a Nyack, stato di New York, nel 1882, un carattere schivo, quasi burbero: “Apre raramente bocca, ma se dice qualcosa, è o molto intelligente, o molto saggia, o entrambe”. Parole della moglie, Josephine Verstille Nivison. Fino al 12 febbraio 2017 è allestita al complesso del Vittoriano di Roma una mostra che racconta il pittore statunitense: sessanta capolavori, realizzati da tra il 1902 e il 1960, prestati eccezionalmente dal Whitney Museum di New York tra cui Summer Interior, South Carolina Morning, Le Bistro or The Wine Shop. E Soir Bleu. Due metri di opera incantevole, da starsene lì a guardarla per almeno dieci minuti, ascoltando gli Stealers Wheels.

 

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