Mentre l’Europa dà il via libera al decreto che introduce in Italia l’obbligatorietà dell’etichetta di origine per latte, yogurt, formaggi e latticini, Coldiretti e Codacons chiedono di estendere la norma a tutti i prodotti alimentari. “L’etichetta resta infatti anonima – ha denunciato Coldiretti – per circa un terzo della spesa”. Si va dai salumi ai succhi di frutta, dalla pasta al latte a lunga conservazione, dal concentrato di pomodoro ai sughi pronti fino alla carne di coniglio. Una richiesta condivisa anche da Codacons. Oggi per beni di elevato uso quotidiano come sughi e pasta “regna il mistero e non si conosce da quale Paese del mondo provenga la materia prima”, ha dichiarato il presidente dell’associazione Carlo Rienzi, secondo cui “i consumatori, al contrario, hanno pieno diritto di sapere cosa mangiano perché l’origine dei prodotti modifica le scelte economiche degli utenti”. Con l’etichettatura di origine per il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo “si dice finalmente basta all’inganno del falso Made in Italy, con tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia che sono stranieri, cosi come la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero”. Eppure nessuno lo sa, proprio perché non è obbligatorio riportarlo in etichetta.
IL VIA LIBERA DALL’EUROPA – Sono scaduti, senza che arrivasse alcuna obiezione da parte dell’Unione europea, i termini per rispondere agli Stati membri che intendono adottare una nuova normativa in materia di informazione sugli alimenti. Il silenzio-assenso da parte dell’Europa ha come effetto che dal primo gennaio 2017 (come è previsto per un testo analogo in Francia) sarà obbligatorio indicare con chiarezza al consumatore la provenienza delle materie prime di molti prodotti come latte, burro, yogurt, mozzarella, formaggi e latticini. “L’indicazione di origine del latte o del latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari in etichetta – ha spiegato Coldiretti – riguarderà il nome del Paese nel quale è stato munto il latte, quello nel quale il latte è stato condizionato, quello dove è stato trasformato”.
COME CAMBIA L’ETICHETTA – Se il latte in questione è stato munto, condizionato e trasformato nello stesso Paese si utilizzerà un’unica dicitura: Origine del latte: nome del Paese. Se invece le operazioni indicate avvengono nei territori di più Paesi membri dell’Unione europea, possono essere utilizzate le diciture Miscela di latte di Paesi UE per la mungitura, Latte condizionato in Paesi UE, Latte trasformato in Paesi UE. Infine, se le operazioni avvengono nel territorio di più Paesi al di fuori dell’Unione Europea, si usano le diciture: Miscela di latte di Paesi non UE per la mungitura, Latte condizionato in Paesi non UE, Latte trasformato in Paesi non UE. Sono esclusi solo i prodotti Dop e Igp, che hanno già disciplinari relativi anche all’origine e il latte fresco già tracciato. “Da decenni chiedevamo un simile provvedimento e finalmente dopo anni in cui i consumatori hanno totalmente ignorato la provenienza del latte bevuto e del formaggio mangiato, sarà possibile garantire piena trasparenza”, spiega il presidente del Codacons, pur ritenendo quello sul latte solo un primo passo.
COLDIRETTI: “ECCO I PRIMI EFFETTI” – Secondo Coldiretti si possono già vedere gli effetti di una svolta definita “storica”. Il prezzo del latte italiano alla stalla “spot”, venduto cioè al di fuori dei normali contratti di fornitura, è salito del 71% in soli 5 mesi passando dai 24,74 centesimi al litro della fine di aprile ai 42,3 centesimi della fine settembre. “Ci sono ora tutte le condizioni – sottolinea la Coldiretti – per alzare il prezzo pagato agli allevatori e chiedere l’immediata apertura del confronto con l’industria lattiero-casearia italiana per tenere conto della nuova situazione di mercato”. Sul fronte occupazione qualche calcolo Coldiretti l’ha già fatto: “Il provvedimento salva 120mila posti di lavoro nelle attività di allevamento da latte, che generano lungo la filiera un fatturato di 28 miliardi, la voce più importante dell’agroalimentare italiano dal punto di vista economico, ma anche da quello dell’immagine del Made in Italy”. Per l’associazione il via libera alle nuove regole risponde alle esigenze di trasparenza degli italiani “che secondo la consultazione pubblica online del ministero dell’Agricoltura, in più di 9 casi su 10, considerano molto importante che l’etichetta riporti il Paese d’origine del latte fresco (95%) e dei prodotti lattiero-caseari quali yogurt e formaggi (90,84%), mentre per oltre il 76% lo è per il latte a lunga conservazione”.
PASSO DOPO PASSO – A livello comunitario il percorso di trasparenza è iniziato dalla carne bovina dopo l’emergenza mucca pazza di fine secolo. Dal 2003 è obbligatorio indicare varietà, qualità e provenienza nell’ortofrutta fresca, dal 2004 c’è il codice di identificazione per le uova e l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di origine in cui il miele è stato raccolto. In Italia dal 2005 bisogna indicare la zona di mungitura o la stalla di provenienza per il latte fresco ed esiste l’obbligo di etichetta per il pollo Made in Italy, mentre dal 2008 c’è l’obbligo di etichettatura di origine per la passata di pomodoro. “Molti risultati sono stati ottenuti anche in Europa ma – ha sottolineato la Coldiretti – l’etichetta resta anonima per circa un terzo della spesa. Due prosciutti su tre sono venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all’estero, ma anche un pacco di pasta su tre è fatto con grano straniero senza indicazione in etichetta, come pure i succhi di frutta o il concentrato di pomodoro dalla Cina i cui arrivi sono aumentati del 379% nel 2015 per un totale di 67 milioni di chili”.