di Claudia Florio
La confusione nei canapi regna sovrana; il clima di totale incertezza, prodotto dagli esiti di prove insignificanti, contribuisce a determinare una assoluta impossibilità di avventurarsi in qualsivoglia pronostico di vittoria; alla fine, la sgangherata compagine di quadrupedi, forse il peggior lotto di cavalli che la storia del Palio abbia conosciuto, parte con in groppa fantini semi-ignoti a caccia di gloria.
E Adolfo Manzi, detto “Ercolino” la troverà in groppa a “Balente de Su Sassu”, regalando alla contrada del Nicchio, estratta a sorte per i giochi, una vittoria più che improbabile, che non arrivava da ben dodici anni. Tra le urla di giubilo che accompagnano il traguardo della Nobile Contrada, insignita con tanto di blasone, un secolo prima, dalla Consulta Araldica di Umberto I di Savoia, se ne leva uno penetrante e infantile. È il mio. Corre l’anno 1981.
Ho circa otto anni e sono a Siena per far visita ad una zia. Nei giorni precedenti il palio, la mamma mi ha portato in lungo e in largo per la ridente cittadina, quando ci siamo imbattute in uno spettacolo per me sbalorditivo: il volteggiare acrobatico delle bandiere nicchiaiole, i rulli sincroni dei tamburi e gli sbuffi ottone delle fanfare, mi hanno letteralmente sradicato la gioia dal petto, impedendomi di guardare altrove. Tirata a forza dalle braccia materne, ho fatto qualche passo più in là, scorgendo, tra le bancarelle di souvenir, dei pupazzi simili agli sbandieratori nicchiaioli. Simili. Non uguali. Un dettaglio impossibile da trascurare per la meticolosità maniacale di una bambina; quelli che ho visto sono i pupazzi sbandieratori di altre contrade, ma io che di contrade e sbandieratori non so nulla, non ho tardato a protestare al tentativo di mia mamma di affibbiarmi un qualsiasi pupazzo sbandieratore.
Ho preteso di avere lo sbandieratore “originale“, quello con la bandiera blu e la conchiglia coronata granducale, con il pendaglio formato dai tre nodi di Savoia e dai due fiori di Cipro, e con “il rosso del corallo che m’arde in cor”, come recita il motto nicchiaiolo. Perché solo quello è lo sbandieratore “vero”, quello che ho appena visto; gli altri dei volgari impostori. Mia mamma, sopraffatta e divertita dalle mie invettive, ha quindi assecondato questo mio cieco fanatismo, riaccompagnandomi a casa solo dopo essere riuscita a consegnare tra le mie mani lo sbandieratore del Nicchio. Quando, al mio rientro, mia zia mi ha resa edotta della storia delle contrade, spiegandomi che, non solo gli altri sbandieratori e, conseguentemente, le relative contrade sono tutte vere e in qualche caso più valide del Nicchio (che quest’anno competerà solo perché estratta a sorte) e aggiungendo peraltro che quest’ultima avversa la contrada di famiglia, me ne sono finalmente convinta.
Poi, però, è arrivato questo giorno: il giorno del Palio e… cosa volete? Ce l’ho messa tutta, ma ormai il dubbio che gli altri siano tutti impostori si è insinuato. E il giovane petto mi grida: sapete che vi dico? Io tifo Nicchio! Hai voglia di spiegarmi che è una contrada che non è neanche qui per suoi meriti, e che ha concorso con un cavallo assegnatogli che non vale due soldi e che non merita di vincere; è la contrada il cui vessillo ho visto sbandierare con questi miei occhi, quella vera, quella reale. E sic stantibus rebus non può che vincere! E così è stato!
Da questo momento, come sarà in quelli a venire, per me la “Vittoria del Nicchio” sarà sinonimo di una vittoria auspicata in virtù di un pregiudizio inalienabile, frutto dell’ignoranza, della superficialità e soprattutto di un incontrollabile fanatismo infantile.
Niente paura, però: questo è quello che può accadere in un mondo dibimbi di otto anni; perché nel mondo degli adulti, non ci si augura un risultato sulla base di insensati pregiudizi positivi e ardenti tifoserie verso il primo sbandieratore che passa, giusto? O forse, no.
Perché, a pensarci bene, in un Paese, se non proprio fondato sul cavallo, fondato sicuramente sul pallone, non mi sorprenderebbe poi tanto se prendesse piede un diffuso fanatismo verso giocatori scelti da altri, e se a cambiare le regole del gioco fosse chi ha dimestichezza col mercato.
Come non mi sorprenderebbe se, dopo aver ammirato il primo vessillo sbandierare e dopo aver letto il primo proclamo, in fondo in fondo si radicherà l’idea che quella sia la bandiera giusta. E hai voglia di lavarti la testa con informazioni scientificamente solide e storicamente coerenti! Hai voglia di affannarsi a spiegarti le altre ragioni e di sprosciuttarsi in disamine sopraffini per argomentarle. Hai voglia di far sputtanare in Tv l’ultimo costituzionalista ancora degno di essere chiamato tale, nell’inutile tentativo di convincerti dell’assurdità della tua posizione: alla fine, sebbene gongolante e confuso, più o meno segretamente auspicherai che vinca “il rosso del corallo che t’arde in cor”… e penserai anche di avere ragione!
Per questo temo così tanto quel 30% circa di elettorato indeciso. Per questo non mi augurerò mai più che vinca il Nicchio.
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