Centoquaranta milioni di finanziamenti sovrani per otto convenzioni in Paesi in via di sviluppo. L’ultima in Palestina con tre linee di credito per un totale di 57 milioni destinati alla ricostruzione delle abitazioni distrutte dal conflitto dell’estate 2014 nella Striscia di Gaza. E’ il primo bilancio di Cassa depositi e prestiti in versione “Banca per lo Sviluppo”, cioè gestore del fondo rotativo per la cooperazione che fa capo al ministero degli Affari esteri (Maeci). Ma è anche solo il primo timido passo di un progetto ben più ampio delineato dal governo Renzi in occasione della nascita dell’Agenzia per la cooperazione internazionale.

In dirittura d’arrivo ci sono infatti i decreti attuativi che consentiranno alla Cassa, custode di 250 miliardi di risparmi postali, di utilizzare risorse proprie per finanziare imprese private nell’ambito di progetti di cooperazione internazionale a favore dei 146 Paesi più poveri del mondo. In totale, la Cdp dovrebbe poter investire circa un miliardo di risorse proprie che si aggiungeranno a quelle del fondo rotativo del Maeci e ai fondi comunitari destinati alla cooperazione. Ma come funzionerà esattamente il nuovo meccanismo finanziamento dei progetti dell’Agenzia e del Maeci? E soprattutto chi vigilerà per evitare che si ripetano casi come quello della diga Gibe II crollata a soli dieci giorni dalla sua inaugurazione?

Sulla prima questione, il piano del governo Renzi prevede che attorno a Cdp ruoti una nuova struttura finanziaria del sistema cooperazione con una rilevanza crescente nel sostegno agli investimenti privati italiani all’estero. Da un lato Cdp gestirà il fondo rotativo, in passato affidato ad Artigiancasse con uno stock da circa 5 miliardi e una capacità rotativa annua compresa fra i 150 e i 200 milioni. Il denaro in questione sarà utilizzato sulla base degli accordi raggiunti da Agenzia e Maeci per finanziare gli Stati in progetti di sviluppo. Le commesse che ne deriveranno potranno essere “legate”, cioè riservate alle aziende italiane e affidate con gara, o “slegate”, cioè affidate a seguito di bandi internazionali. In più Cdp e lo stesso fondo rotativo potranno anche finanziare direttamente progetti di imprese che creeranno occupazione e sviluppo nei Paesi più disagiati.

Da gennaio partirà, infatti, uno sportello congiunto dell’Agenzia e del ministero Affari esteri per identificare le aziende che potranno beneficiare di un sostegno finanziario pubblico ai progetti di cooperazione internazionale e che potranno quindi anche accedere a un fondo di “accompagnamento” da circa 4 miliardi stanziato da Bruxelles. In questa nuova dimensione della cooperazione, Cdp svolgerà il ruolo di consigliere del Maeci, del Tesoro e dell’Agenzia per valutare la solidità delle aziende potenziali beneficiarie e le caratteristiche finanziarie del progetto proposto. Ma nella valutazione complessiva finale per l’assegnazione dei finanziamenti incideranno anche fattori sociali come il rapporto con le ong che hanno presentato richiesta di iscrizione all’Albo dell’Agenzia per la Cooperazione.

Tecnicamente quindi Cdp è pronta a far fare un salto importante all’utilizzazione dei fondi per la cooperazione e lo sviluppo economico. Dalla sua, del resto, ha una lunga esperienza nel finanziamento di progetti, principalmente infrastrutturali, ai Comuni italiani. Sullo sfondo resta però un interrogativo importante che riguarda non solo il dettaglio dei criteri che consentiranno di selezionare le aziende, ma soprattutto il continuo controllo sulla situazione finanziaria delle imprese beneficiarie e sulla qualità del progetto. Su questo punto toccherà all’Agenzia e al Ministero vigilare. Anche per evitare casi di delocalizzazione. Con il paradosso correlato che il finanziamento pubblico del Maeci e i soldi della Cdp finiscano col creare lavoro all’estero assottigliandolo in Italia.

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