I tempi sono cambiati. La letteratura internazionale ha visto due segnali importanti di rinnovamento in queste settimane. Due segni molto diversi tra loro, ma accomunati dalla popolarità dei loro protagonisti.

In questi giorni stiamo assistendo a uno strano fenomeno commerciale. In testa alle classifiche di tutto il mondo occidentale c’è un testo teatrale. Non un romanzo, non un libro di ricette, non le battute di un comico, ma un copione con dialoghi e personaggi. Da che ho memoria non era mai successo. La magia di Harry Potter e della sua autrice J.K. Rowling è riuscita a fare anche questo (debutterà nel West End di Londra il 30 luglio 2016 con regia di Jack Thorne). Certo vende perché Harry Potter è ormai un marchio globale, però sta portando moltissime persone che non avevano mai letto un copione a cimentarsi con questo tipo di scrittura, spesso per la prima volta. Il testo teatrale è una lettura considerata da molti lettori uno sforzo maggiore, chi legge deve infatti fare mentalmente “la regia” di quel testo di cui abbiamo i dialoghi, ma non le scenografie, gli ambienti e i costumi. È un tipo di lettura che implica un ritmo diverso, ma che vale la pena di riscoprire.

Dall’altra parte c’è il premio Nobel a Bob Dylan. In un’epoca in cui si dice che la poesia è morta è stato uno shock per molti critici scoprire che la poesia non è mai stata così popolare, solo che loro erano girati dall’altra parte. Non c’è nulla di scandaloso nel definire poesie i testi di Dylan, come quelli di molti altri grandi cantautori, visto che la poesia è nata per essere cantata fin dai tempi di Omero, anche se poi con la diffusione della stampa si è persa questa tradizione (come quella della lettura a voce alta).

Questi due episodi possono aprire un dibattito. Perché così raramente ci capita di leggere testi teatrali o poesie che non siano incise in studio con una band?

La spiegazione che mi sono dato è che per comprendere un testo teatrale o una poesia ci vuole tempo. L’imperativo culturale della nostra epoca è il tempo. Tutto deve essere veloce. I trasporti, le informazioni, i pensieri. Ciò che implica una difficoltà di ragionamento, e quindi un rallentamento del tempo, è scartato.

La poesia è l’esatto contrario della velocità. Per leggere poche righe di poesia occorre un’infinità di tempo, vanno lette e rilette, pensate e assaporate, a volte richiedono una vita intera per essere comprese. In questo la musica aiuta perché permette alla poesia di essere ascoltata e riascoltata più volte fino entrare in sintonia con le parole.

Cees Nooteboom, scrittore, viaggiatore e poeta olandese autore di libri memorabili come Il canto dell’essere e dell’apparire, Rituali o il recente Tumbas (editi da Iperborea), ha discusso di poesia con Antonio Prete – in uno degli incontri più stimolanti del festival della letteratura dello scorso festival di Mantova. Durante il dialogo Nooteboom ha affermato che «le persone si sono abituate al linguaggio immediato dei giornali e cercano subito il significato di un testo, fanno fatica a leggere la poesia perché dicono “conosco le parole che ci sono scritte, ma non comprendo il loro significato all’interno della frase”. Ma il significato non va cercato». Ci sono cose, come le poesie e in generale la bellezza, che non vanno comprese razionalmente, ma a ci si deve abbandonare ad esse.

Baudelaire scriveva che «La poesia è ciò che c’è di più reale, essa è vera in un altro mondo».

Poesia e drammaturgia sono due linguaggi poco frequentati, ma furono l’origine della grande letteratura greca e forse, grazie anche al maghetto di Hogwarts o al cantastorie di Duluth, torneranno ad essere popolari.

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