I verbali dei suoi accusatori e l’elenco delle persone intercettate in inchieste antimafia, le annotazioni della polizia giudiziaria e gli esposti inviati in procura. Ma soprattutto informazioni sulla vita privata degli investigatori che davano la caccia ai boss di Cosa nostra e le notizie sui parenti del magistrato che indagava su di lui. Documenti top secret provenienti direttamente dallo Sdi, il sistema informatico d’indagine, che sarebbero stati riferiti a quello che è stato per anni il dominus incontrastato del Pd nella Sicilia occidentale: l’ex senatore Antonino Papania (nella foto). È un’ipotesi inquietante quella contenuta nell’avviso di conclusione delle indagini inviato l’1 aprile scorso dalla procura di Caltanissetta all’ex parlamentare, bollato come “impresentabile” dai garanti del suo partito, cancellato dalle liste dem alle politiche del 2013, poi condannato a 8 mesi per voto di scambio nel maggio scorso. Un’ipotesi che coinvolge non solo un ex componente di Palazzo Madama, ma anche un sottufficiale del carabinieri, entrambi accusati di accesso abusivo a sistema informatico, di rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio.
Tutto comincia l’8 maggio del 2015, quando gli uomini del nucleo di polizia tributaria della guardia di Finanza vanno a perquisire la sede di Futura 2000, una cooperativa considerata nelle disponibilità dello stesso Papania. Quella perquisizione era stata ordinata dalla procura di Trapani nell’ambito dell’inchiesta sulle elezioni amministrative di Alcamo del 2012 – raccontata in anteprima dal fattoquotidiano.it – che porterà poi all’apertura di due processi, alla condanna in primo grado dell’esponente dem e a un’indagine per il giornalista Marco Bova dopo un articolo sul nostro giornale.
È proprio durante quel blitz, però, che gli inquirenti si accorgono della presenza di elementi quantomeno interessanti. Negli armadi della cooperativa, infatti, vengono ritrovate copie di documenti raccolti proprio durante l’indagine per voto di scambio a carico di Papania: i verbali di alcuni testimoni ascoltati (come Niclo Solina, suo avversario elettorale), le annotazioni redatte della polizia giudiziaria, le segnalazioni arrivate in procura in quel periodo. Cosa ci fanno quei documenti nei cassetti di uno degli uomini coinvolti in quella stessa indagine? E come ci sono finiti? Per gli inquirenti sono stati raccolti grazie alla complicità del maresciallo capo Roberto Sabato, in servizio fino a poco tempo fa proprio alla caserma di Alcamo.
Secondo l’avviso di conclusione delle indagini firmato dal pm Santi Condorelli – che può preludere a una richiesta di rinvio a giudizio – Sabato avrebbe commesso “più azioni consecutive di un medesimo disegno criminoso” perché “abusivamente si introduceva nel sistema informatico d’indagine in dotazione alle forze di polizia, accedendo ai documenti riservati e coperti da segreto”. Ma non solo. Perché dopo ulteriori accertamenti a carico del maresciallo gli investigatori hanno trovato anche altro. Per esempio copia informatica di una “scheda attività”: contiene i nominativi e le utenze telefoniche intercettate durante l’inchiesta Cemento libero, che nel 2008 aveva portato all’arresto di alcuni boss locali. E poi alcuni esposti anonimi ai pm che denunciavano possibili infiltrazioni mafiose nel comune di Alcamo, per un ventennio feudo elettorale dell’ex senatore e inviolabile fortino del centrosinistra in una Sicilia iperberlusconiana. E ancora, ci sono documenti che contengono “informazioni private in riferimento a possidenze immobiliari, contratti d’affitto, forniture utenze, mail private, foto di familiari relative al tenente Michele Raimondo Gammone”, fino al 2009 alla guida del nucleo operativo di Alcamo: cosa ci faceva il militare con quei file, dato che – secondo l’accusa – non doveva svolgere alcuna indagine su Gammone? Nessun accertamento doveva essere fatto anche su Roberto De Mari, eppure agli inquirenti risulta che Sabato si sia impossessato di “notizie afferenti la sua sfera privata e le vicende giudiziarie”.
Chi è De Mari? Il marito di Rossana Penna, e cioè il pm titolare dell’inchiesta per voto di scambio a carico dell’ex senatore del Pd: perché dunque Sabato cercava notizie sul coniuge dell’inquirente che indagava su Papania? A cosa servivano quelle informazioni? E a chi? Di certo al momento c’è solo che il carabiniere è sospettato anche di aver aiutato l’esponente del Pd – a sua volta indicato come “mandante e istigatore” della violazione informatica – “ad eludere le investigazioni svolte nei suoi confronti”.
“Il maresciallo Sabato è un carabiniere modello: abbiamo documentato l’esistenza di deleghe che gli ordinano di compiere quegli accertamenti per indagini in corso sui soggetti che lei ha citato, dimostreremo la sua innocenza. I documenti trovati nelle disponibilità dell’ex senatore? So che si riferivano a indagini già chiuse, quindi erano pubblici”, è la tesi dell’avvocato Baldassare Lauria, legale del militare indagato, mentre una copia delle accuse a Papania e Sabato è finita agli atti di uno dei processi per voto di scambio in corso a Trapani. “Incolpazioni gravi che evidenziano le gravi intrusioni e interferenze illecite degli indagati nell’esercizio delle funzioni come pure nella vita privata della sottoscritta”, le definisce la pm Penna in una lettera spedita al collega Franco Belvisi, che l’ha sostituita come rappresentante della pubblica accusa. Dopo aver appreso delle presunte indagini abusive a carico del suo coniuge, infatti, la dottoressa Penna si è trasformata da inquirente a parte lesa dell’inchiesta che è finita per competenza a Caltanissetta. Toccherà adesso ai giudici nisseni decidere se davvero un senatore della Repubblica ha utilizzato un sottufficiale dei carabinieri per ottenere informazioni personali e riservate su due investigatori e sulle indagini a suo carico. E in caso affermativo, capire con quale inquietante obiettivo.