C’è scritto davvero: “Avviso ai non vedenti. Suonare il campanello e attendere l’addetto”. Così recita la surreale targhetta affissa a un Postamat. Sembra una barzelletta ma c’è poco da ridere perché tutti gli italiani mettono in banca i loro risparmi ma alcuni non possono ritirarli, a meno di non trovare un amico, un parente o un’anima pia che li aiuti a farlo. Possibilmente senza esserne derubati. Sono i 300mila ciechi residenti in Italia, che vanno a sbattere sistematicamente contro dispositivi bancomat e postamat sprovvisti del sintetizzatore vocale che consentirebbe loro di effettuare operazioni comuni a tutti i clienti. L’unica possibilità è recarsi di persona agli sportelli negli orari di apertura, con la beffa di dover pagare commissioni salate (anche 5 euro a bonifico). Questo succede in barba a una serie di norme (Dm 236/89, Dpr 503/96, legge 67/2006) che tutelano il diritto di accesso ai servizi a clienti con disabilità, comprese quelle sensoriali. Nel 2016, finalmente, una sentenza della Cassazione ha riconosciuto come “discriminatoria” la condotta di una banca ma fa giurisprudenza, non cambia le cose. E infatti la violazione di legge e dei diritti dei ciechi resta la normalità in tutta Italia. La prova l’abbiamo fatta seguendo Massimo Vettoretti e Simona Zanella dell’associazione BlindsightPtoject che questa estate ha ingaggiato una contesa sull’accesso dei ciechi accompagnati da cane guida in un albergo (video). L’esperimento parte da Milano ma tocca anche altre città con lo stesso risultato: uno dopo l’altro, i bancomat si rivelano scatole inutili per chi non vede. Surreale è che l’Associazione delle banche italiane (Abi) fin dal 2003 abbia emanato raccomandazioni (senza sanzioni) alle proprie associate e che nel 2015 l’Unione Italiana Ciechi (Uici) abbia attribuito proprio a Poste e Abi il prestigioso premio Braille per l’impegno sul fronte dell’accessibilità dei loro servizi. Un premio che, vista la prova sul campo, vale per il futuro
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