Il nuovo rapporto dell'organismo della Cei: nel Mezzogiorno il 66,6% delle persone accolte nei centri sono connazionali, a fronte di un 33,1% di cittadini di altri Paesi. L’incidenza più alta del disagio si registra tra i minori, seguiti dalla classe 18-34 anni. Al contrario gli over 65 indigenti sono pochi, diversamente da quanto accadeva meno di un decennio fa
Al Sud, nei centri di ascolto della Caritas gli italiani che chiedono aiuto per arrivare a fine mese hanno superato gli immigrati. E in tutta Italia esiste una vera e propria emergenza giovani, dovuta alla crisi del mercato del lavoro che continua a penalizzarli: più diminuisce l’età, più cresce la povertà. Sono alcuni degli aspetti che emergono dal rapporto 2016 della Caritas italiana su povertà ed esclusione sociale dal titolo ‘Vasi comunicanti’, elaborato sui dati del 2015, che affronta questi temi confrontano la situazione in Italia e quel che accade oltre i confini nazionali. Il documento, frutto dell’analisi dei dati e delle esperienze quotidiane delle oltre duecento Caritas diocesane operanti sul territorio nazionale, arriva nella Giornata internazionale della povertà e a due giorni dal varo di una legge di bilancio che, stando alle slide presentate da Matteo Renzi, rinvia al 2018 l’aumento di 500 milioni del Fondo per la lotta alla povertà. Quelle risorse, necessarie per far partire il Reddito di inclusione attiva, come fatto notare dalla Cisl erano state al contrario promesse per il 2017. “Un errore ed un danno all’intero Paese”, accusa il sindacato. Intanto l’Eurostat ha reso noto che la Penisola è al quarto posto nella Ue per aumento (+3,2%) del rischio di povertà tra il 2008 e il 2015, alle spalle di Grecia (+7,6%), Cipro (+5,6%) e Spagna (+4,8 per cento).
LA POVERTÀ INVERSAMENTE PROPORZIONALE ALL’ETA’ – Secondo i dati Istat in Italia vivono in uno stato di povertà 1,58 milioni di famiglie, per un totale di quasi 4,6 milioni di individui. Si tratta del numero più alto dal 2005 ad oggi. “Le situazioni più difficili sono quelle vissute dalle famiglie del Mezzogiorno – spiega il rapporto – da quelle con due o più figli ancora minorenni, dalle famiglie di stranieri, dai nuclei il cui capofamiglia è in cerca di un’occupazione o operaio, ma anche dalle nuove generazioni”. Ed è quest’ultimo un elemento inedito messo in luce dall’analisi della Caritas, che stravolge il vecchio modello italiano: “La povertà assoluta risulta inversamente proporzionale all’età, diminuisce all’aumentare di quest’ultima”. La crisi del lavoro, infatti, continua a penalizzare soprattutto giovani e giovanissimi sia in cerca di una prima occupazione sia di un nuovo lavoro, ma anche gli adulti rimasti senza un impiego. D’altro canto, secondo gli ultimi dati Istat, l’incidenza più alta di povertà si registra proprio tra i minori, gli under 18, seguita dalla classe 18-34 anni. Al contrario gli over 65, diversamente da quanto accadeva meno di un decennio fa, si attestano su livelli contenuti di disagio. Il risultato è che degli oltre 4,5 milioni di poveri totali, il 46,6% ha meno di 34 anni (si tratta di 2 milioni e 144mila persone).
I DATI DEI CENTRI DI ASCOLTO: SEMPRE PIU’ UOMINI E DISOCCUPATI – Accanto ai dati dell’Istat il rapporto fornisce quelli raccolti presso i centri di ascolto promossi dalle Caritas diocesane o collegati con esse (1.649 centri di ascolto dislocati su 173 diocesi). Nel corso del 2015, le persone incontrate sono state 190.465. Ed ecco un’altra novità. “Come nel passato – spiega il dossier – il peso degli stranieri continua ad essere maggioritario (57,2%), ma non più in tutte le aree del Paese”. Nel Mezzogiorno la percentuale di italiani è pari al 66,6%. Il 2015 segna anche un ulteriore cambio di tendenza: per la prima volta risulta esserci una sostanziale parità di presenze tra uomini (49,9%) e donne (50,1%), a fronte di una lunga e consolidata prevalenza del genere femminile. L’età media delle persone che si sono rivolte ai centri di ascolto è 44 anni. Disoccupati e inoccupati insieme rappresentano il 60,8% del totale.
Tra i beneficiari dell’ascolto e dell’accompagnamento prevalgono le persone sposate (47,8%), seguite dai celibi o nubili (26,9%). Si tratta di persone con la licenza media inferiore per il 41,4%, la licenza elementare (16,8%) o la licenza di scuola media superiore (16,5%). I bisogni o problemi più frequenti che li hanno spinti a chiedere aiuto sono soprattutto materiali: povertà economica (76,9%), disagio occupazionale (57,2%), problemi abitativi (25%) e familiari (13%). Ma la verità è che in molti casi queste difficoltà si sommano l’una all’altra rendendo la situazione ancora più complessa.
LA POVERTÀ DEI RIFUGIATI E DEI RICHIEDENTI ASILO – A questi dati, si aggiungono quelli relativi ai rifugiati e ai richiedenti asilo. Nel 2015 sono sbarcati sulle coste italiane 153.842 migranti, provenienti soprattutto da Eritrea, Nigeria, Somalia, Sudan, Gambia, Siria, Mali. i richiedenti asilo sono stati 83.970, mentre dieci anni fa (nel 2005) erano poco più di 10mila. “Nel corso del 2015 i profughi e i richiedenti asilo in fuga da contesti di guerra che si sono rivolti ai Centri di Ascolto Caritas sono stati 7.770”, spiega il rapporto. Si tratta per lo più di uomini (92,4%), con un’età compresa tra i 18 e i 34 anni (79,2%), provenienti soprattutto da Stati africani e dell’Asia centro-meridionale. Basso risulta essere il loro capitale sociale e culturale. Numerosi i casi di analfabetismo (26,0%). Il 61,2% si trova in situazioni di povertà economica (povertà estrema o mancanza totale di un reddito). Oltre la metà (il 55,8%) non ha un posto dove vivere. Queste persone chiedono beni e servizi materiali (pasti alle mense, vestiario, prodotti per l’igiene) oltre a un alloggio. “Il 2015 è stato definito come ‘l’annus horribilis’ per i movimenti migratori – chiosa la Caritas – per l’elevato numero di rifugiati, sfollati e morti, ma anche per la debolezza e l’egoismo che molti Paesi hanno dimostrato nell’affrontare l’emergenza umanitaria”. Infatti “la politica europea è risultata frammentata, disunita e per molti aspetti inadeguata e le immagini di muri e fili spinati stridono con gli ideali e i principi del grande ‘sogno europeo’, quello di un continente senza più confini”.