Il presidente del Consiglio ripete quanto aveva già detto lo scorso 2 aprile. Ma i numeri lo smentiscono: sempre più connazionali fuggono all'estero. E il trend è in crescita
“Non continuiamo con la retorica della fuga dei cervelli. Il punto centrale è che bisogna aprirsi, bisogna trovare il modo di essere attrattivi, a me interessa quanto attraiamo altri talenti, aprendosi alla competizione internazionale”. Matteo Renzi insiste: lo aveva detto lo scorso 2 aprile e lo ripete dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, centro d’eccellenza della formazione universitaria italiana. Le migliaia di italiani che continuano a lasciare il Paese? Retorica. Certo, non sono soltanto cervelli in senso stretto ad andarsene, ma connazionali alla ricerca di soddisfazione personale, fatta di migliori condizioni di lavoro e di vita. Eppure i numeri si discostano, e di molto, dalla visione ottimista di Renzi. Anzi, la contraddicono: nel 2015, secondo i dati diffusi dalla Fondazione Migrantes, sono stati 107mila gli italiani ad emigrare, soprattutto under 35. Un trend in diminuzione, almeno? No. Nel 2014 gli espatri erano stati 101.297, con una crescita del 7,6% rispetto al 2013 (94.126).
Sempre più expat, sempre più cervelli in fuga. Ma le cifre non sembrano convincere il Presidente del Consiglio. Le partenze, però – definitive, nella maggior parte dei casi – non sono un fenomeno accessorio, ma un problema. E la capacità attrattiva dell’Italia, proprio quella che Renzi vuole rilanciare, ha molta strada da fare a partire dalle università: secondo gli ultimi dati Miur riportati dal Sole 24 Ore, nel nostro Paese arriva solo un quarto degli studenti stranieri che la Francia riesce ad attrarre, e un terzo rispetto alla Germania. Ed è allarme rosso anche per il rettore della Bocconi, Andrea Sironi: la fuga dei cervelli “mina le nostre capacità di progresso futuro“. Il risultato è questo: “saldo strutturalmente negativo tra ricercatori che lasciano il Paese e ricercatori attratti dall’estero”. Numeri alla mano: “Incrociando i flussi bilaterali tra Italia e, rispettivamente, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Spagna si evidenzia, nel periodo dal 1996 al 2013, un saldo netto negativo di oltre cinquemila scienziati”.
Elementi che delineano un quadro lontano dalla retorica, come emerge anche dalle decine di storie di ricercatori italiani fuggiti all’estero e raccolte da Il Fatto.it. Le conseguenze degli esodi in ambito universitario si aggrovigliano – oltre che alla mancanza di fondi per finanziare la ricerca – alle dinamiche che animano i concorsi in ateneo. Tra baroni e bandi finti. E spingono il presidente dell’autorità Anticorruzione Raffaele Cantone a dire: “C’è un grande collegamento, enorme, tra fuga di cervelli e corruzione”. Per il rettore dell’Università di Modena e Reggio Angelo Oreste Andrisano, però, il problema non è la corruzione, perché l’esodo dei nostri giovani deriva “soprattutto dalla scarsità di opportunità nel nostro paese e anche dalla inadeguata retribuzione: questi giovani hanno qui in Italia uno stipendio tra i più bassi in Europa”. Fatto sta che anche per la presidente della Camera Laura Boldrini i “giovani cervelli, molto qualificati, purtroppo nel nostro Paese non riescono ad avere un percorso e una carriera“. In più, il recepimento restrittivo della direttiva europea sulla sperimentazione scientifica rischia di spostare la ricerca all’estero, ancora più di quanto non sia adesso.
C’è da dire che il governo si è speso per il rientro con un piano che prevede lo stanziamento di “40 milioni per il 2016 e 100 milioni dal 2017”. Ma negli anni scorsi le misure messe in campo non hanno raggiunto risultati soddisfacenti. L’unico modo per arrestare la fuga? Le infrastrutture. Perché “non basta stanziare 10 o 20 milioni per far tornare un cervello se
questo poi qui non ha mezzi”, aveva sottolineato Emilia Chiancone, presidente della Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL.
Curioso che l’esodo dall’Italia, a differenza di Matteo Renzi, sia stato preso sul serio anche dalla Commissione Ue. Nel rapporto sugli squilibri macroeconomici aveva scritto che “può causare una perdita netta permanente di capitale umano altamente qualificato, a danno della competitività del Paese. Nel medio e lungo termine può compromettere le prospettive di crescita economica dell’Italia e anche le sue finanze pubbliche“. Quindi, la prima cosa da fare per avere possibilità di crescita e attrattiva è tamponare la fuga. Che esiste e che, guardando i dati, non dà segni di tregua. Tutto tranne che retorica.