Alzi la mano chi a fine agosto pensava di ritrovare il Milan secondo in campionato dopo otto giornate. Forse nemmeno Adriano Galliani, quando tornava dal Sudamerica con in mano il contratto del carneade paraguaiano Gustavo Gomez, non proprio il più indimenticabile dei suoi colpi di mercato. I tifosi l’ebbrezza dei piani alti della classifica neppure se la ricordavano più: era da cinque anni (dal 2011-2012, l’anno dello scudetto perso in volata contro la prima Juve di Conte) che non occupavano il secondo posto; per ritrovarli così in alto all’ottava giornata bisogna andare ancora più indietro, alla stagione 2010-2011, che poi è anche quella dell’ultimo scudetto. Un mese e mezzo dopo i rossoneri sono l’ultima, forse la più improbabile dopo Roma, Napoli e Inter delle candidate al ruolo impossibile di anti-Juve. Merito di Vincenzo Montella e dei suoi giovani, che hanno riportato un po’ di entusiasmo in un ambiente depresso e stantio. E anche di questo campionato mediocre, incapace di trovare un’antagonista credibile per la favorita.
Evidentemente oggi basta poco per emergere in Serie A alle spalle dei campioni d’Italia. Una vittoria in un big match, un filotto di un paio di vittorie per un calendario benevolo. Ma non è poco quello che stanno facendo i ragazzini di Montella. Definizione non casuale per la squadra più giovane del campionato. Anche a Verona nella vittoria per 3-1 contro il Chievo l’età media dell’undici titolare era inferiore ai 25 anni: 24 anni, 7 mesi e 19 giorni per la precisione. Certo, la media è abbassata sensibilmente (quasi “falsata”) dalla presenza di Donnarumma e ora anche di Locatelli, due “primavera”. Ma anche i vari Romagnoli, De Sciglio, Niang e Suso sono under 25, Lapadula e Bonaventura appena più vecchi. Proprio Manuel Locatelli – cresciuto in rossonero da quando era poco più di un bambino, arrivato in prima squadra bruciando le tappe e promosso addirittura titolare dopo l’infortunio di capitan Montolivo – è un po’ il simbolo di questo nuovo Milan che studia da grande. In cui si vede tanto la mano di Montella: non dal punto di vista tattico, lì l’Aeroplanino ha dovuto adattarsi lui e accantonare (almeno per il momento) il suo amato possesso palla. Ma l’ex tecnico della Fiorentina sta mettendo in piedi una formazione solida sulle certezze difensive dell’asse Donnarumma-Romagnoli, la spensieratezza dei suoi giovani e quel briciolo di talento che ha a disposizione davanti.
In casa milanista il bicchiere e mezzo pieno ma non deve illudere. C’è l’allenatore giusto, ci sono i talenti che rappresenteranno l’ossatura del domani. Manca tutto il resto, a partire dalla società che continua la sua lenta transizione verso il futuro cinese che non arriva mai: i rossoneri restano una squadra incompleta, con scarsa qualità e pochissime alternative in alcuni ruoli chiave. Tutti limiti che probabilmente emergeranno col passare delle giornate. Eppure per ora sono di nuovo lì: a pari merito della Roma che alterna grandi partite e grandi passaggi a vuoto, davanti al Napoli che sembra essersi perso dopo l’infortunio di Milik e all’Inter di De Boer che non si è mai ritrovato. Dietro solo alla Juventus, inarrivabile per tutti. Figuriamoci per questo Milan, assemblato con scarti, ragazzini e un paio di cerotti quest’estate, senza nessuna ambizione. Ma sabato c’è lo scontro diretto. A San Siro, Milan-Juventus, finalmente per qualcosa che conta davvero, come ai vecchi tempi. L’esame di maturità per i ragazzini di Montella. O solo l’ennesima riprova che in Serie A c’è un abisso incolmabile fra i campioni d’Italia e tutti gli altri.
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