Dopo 27 anni racconta tutto ‘o ninno, al secolo Antonio Iovine. Le dichiarazioni dell’ex boss dei Casalesi arrestato il 17 novembre 2010 dopo 14 anni di latitanza e oggi collaboratore di giustizia hanno contribuito non poco a far luce anche sull’omicidio del vigile urbano Antonio Diana, ucciso a 30 anni a San Cipriano d’Aversa (Caserta) l’11 febbraio 1989. Eliminato perché considerato un traditore. Nell’ambito di un’indagine coordinata della Direzione distrettuale Antimafia di Napoli (pm Simona Rossi e Catello Maresca), i carabinieri del nucleo investigativo di Caserta hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di sette persone, ritenute ai vertici del clan dei Casalesi e, a vario titolo, i mandanti e gli esecutori dell’omicidio dell’agente di polizia municipale. Tra questi anche Francesco Schiavone, alias ‘Sandokan’, all’epoca boss emergente. Per gli inquirenti sarebbe stato lui a dare l’ordine di uccidere il vigile urbano. L’indagine è stata riaperta a maggio 2014 proprio a seguito delle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, tra i quali Iovine: “L’ultimo omicidio a cui ho partecipato personalmente come esecutore”. Secondo quanto ritenuto dagli inquirenti l’omicidio è maturato nel contesto della guerra per il potere che si è scatenata in seguito alla scissione del clan Bardellino e che ha favorito la nascita di gruppi mafiosi antagonisti.
IL CONTESTO DELLA GUERRA INTERNA – Antonio Bardellino è stato fondatore e capo storico fino agli anni Ottanta del clan dei Casalesi. A minacciare il potere della sua famiglia, la fazione del clan capeggiata da Schiavone, Francesco Bidognetti, alias ‘Cicciotto e mezzanotte’ e Vincenzo De Falco, detto ‘o fuggiasco’, che riuscì ad avere la meglio su quella decimata militarmente e composta dagli affiliati rimasti fedeli alla famiglia Bardellino, al vertice della quale c’era Antonio Salzillo detto ‘Capacchione’, nipote diretto del boss fondatore. Il contesto era quello di San Cipriano d’Aversa, dove la criminalità organizzata controllava tutto l’apparato amministrativo della città. Tanto che il fratello dell’ex boss Antonio Iovine, Giuseppe, lavorava come agente della polizia municipale, mentre era responsabile dell’ufficio tecnico il fratello di un altro elemento di spicco del clan, Giuseppe Caterino, detto ‘Peppinotto’.
L’OMICIDIO – Il vigile urbano Antonio Diana fu ucciso nel primo pomeriggio del 1 febbraio 1989, mentre era in servizio. Originario di Aversa, aveva 30 anni e da cinque era guardia municipale. Si trovava proprio vicino alla sede del Comune, in piazza Municipio, quando fu avvicinato da un’auto dalla quale i killer gli esplosero contro colpi di fucile a pallettoni. Per lui non ci fu scampo. Fu ucciso perché i Casalesi credevano fosse coinvolto nell’omicidio di un loro uomo, Michele Russo. Il sospetto è che avesse fatto da ‘specchiettista’, segnalando la presenza dell’obiettivo ai sicari del clan Bardellino. ‘Aveva dato la battuta’ dicono i camorristi.
L’ORDINANZA – Al capoclan dei Casalesi Francesco Schiavone, detenuto da 20 anni, l’ordinanza di custodia cautelare è stata notificata in carcere. È accusato di essere stato il mandante dell’omicidio del vigile urbano, consumato nell’ambito della guerra che alla fine degli anni ’80 contrapponeva i due gruppi rivali. Oltre a Schiavone, che oggi ha 64 anni, erano già detenuti altri destinatari del provvedimento. In particolare i presunti killer del vigile, poi divenuti elementi di spicco del clan, Raffaele Diana, di 63 anni detto ‘Rafilotto’ e Giuseppe Caterino di 62 anni, alias ‘Peppinotto’. Erano già in carcere anche l’altro presunto sicario Francesco Mauriello e i due affiliati, Pasquale Spierto e Antonio Basco, che secondo l’accusa si sarebbero occupati di far sparire le armi e l’auto utilizzata per l’agguato. C’era anche il boss Antonio Iovine nel commando di fuoco. L’unico ad essere libero era il fiancheggiatore del clan Giovanni Diana. Nella sua abitazione di San Cipriano D’Aversa i carabinieri hanno trovato un vecchio bunker, che in passato ha ospitato latitanti a caccia di un nascondiglio. A Diana, oggi 70enne, sono stati concessi i domiciliari.
IL MISTERO DELLA MORTE DI BARDELLINO E IL LEGAME CON IL VIGILE – Le indagini sull’omicidio del vigile urbano Antonio Diana e le dichiarazioni di Iovine hanno fornito ulteriori elementi alla Direzione distrettuale Antimafia di Napoli sulla presunta morte di Bardellino, il cui cadavere (insieme al suo tesoro) non è mai stato ritrovato. Secondo i racconti di alcuni collaboratori di giustizia, Bardellino sarebbe stato ucciso in Brasile nel maggio del 1988 dal suo braccio destro, Mario Iovine, a sua volta assassinato in Portogallo nel 1991. A mettere in dubbio che Bardellino sia effettivamente morto in Sud America alla fine degli anni Ottanta, però, sono state anche le dichiarazioni rese nel 1993 da Tommaso Buscetta, a cui Bardellino era legato e di cui era socio in affari. Non solo. C’è anche un fatto di cronaca: la tragedia aerea delle Azzorre dell’8 febbraio del 1989, che provocò 144 vittime. Il boss era già morto o, almeno, tutti lo pensavano. Un Boeing 707 decollato dall’aeroporto Orio al Serio di Bergamo e diretto a Santo Domingo si schiantò contro il Pico Alto, una montagna dell’isola dell’arcipelago al largo del Portogallo. Sul quel volo, secondo alcune testimonianze, ci sarebbe stata una persona vicina a Bardellino, che avrebbe dovuto consegnargli un passaporto. In molti ritengono che il boss si nascondesse proprio a Santo Domingo. Quel documento gli sarebbe stato stato procurato proprio dal vigile urbano Antonio Diana. Ucciso l’11 febbraio, tre giorni dopo l’incidente aereo. Un’altra ipotesi è che fosse proprio Bardellino su quel volo e che il vigile urbano fu ammazzato non per una vicenda collegata alla morte di Michele Russo, ma affinché non rivelasse di aver consegnato a Bardellino (o a qualcuno dei fedelissimi di Bardellino) il passaporto ritrovato tra i resti dell’aereo.
Aggiornamento web del 18 ottobre alle ore 17.23