Mangiare in mensa a scuola è caro, non piace a un bimbo su tre, è rumoroso e poco accogliente visto che il 23% delle scuole non dispone di un locale adatto. Quindi usa atri e aule degli istituti.
E’ questa la sintesi del rapporto “Mensa a scuola: costi qualità e nuove prospettive?” di Cittadinanzattiva, che a Roma ha presentato anche un’indagine, svolta tra i mesi di settembre e ottobre, sulle rette della ristorazione scolastica. Un dossier che esce nei giorni in cui il Comune di Torino ha deciso di ricorrere in Cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello del 21 giugno scorso che riconosceva la libertà di scelta tra il pasto da casa e quello della refezione comunale. Un tema che anche a Milano ha suscitato polemiche e divisioni tra Comune e Regione. I dati della prima ricerca hanno coinvolto 79 scuole di 13 regioni diverse analizzando 221 indicatori ed intervistando 482 bambini, 95 insegnanti, 89 genitori e 30 rappresentanti delle commissioni mensa.
I numeri sulle rette riguardano, invece, tutti i capoluoghi di provincia. Cittadinanzattiva ha rilevato il costo medio sia per la scuola dell’infanzia sia per la primaria e la secondaria, prendendo come riferimento una famiglia tipo di tre persone con un reddito lordo annuo pari a 44.200 euro, al quale corrisponde un Isee di 19.900 euro.
Il risultato è che “questa” famiglia spende 728 euro sia per l’infanzia sia per la primaria. Le tariffe più care sono al Nord dove si arriva a spendere circa 93,96 euro mensili rispetto al Sud dove papà e mamma devono sborsare solo 64 euro per l’infanzia e tre euro in più se hanno un bambino che frequenta le elementari. La maglia nera, stavolta va all’Emilia Romagna, che vanta le tariffe più alte con mille euro annui in media contro la più economica Calabria che fa spendere poco più di 500 euro.
A seguire l’Emilia è il Piemonte con 860 euro, la Liguria (857 euro), la Valle d’Aosta (835 euro), la Basilicata (833 euro) e la Lombardia (820 euro). Le più economiche oltre alla già citata Calabria, la Campania (592 euro), la Sicilia (579 euro) e l’Abruzzo (572 euro). Una disparità che Adriana Bizzarri, responsabile scuola di Cittadinanzattiva non vede di buon occhio: “Le tariffe dovrebbero essere uniformate per aree territoriali”.
Ma a fronte di un pasto così caro qual è la qualità? Su questo punto bambini, insegnanti e genitori si dividono. I ragazzi la trovano meno accogliente di mamma e papà e degli insegnanti che ci stanno uno o due giorni la settimana. Per l’87% dei bambini il problema principale è il rumore. E se sono tutti d’accordo a dire che è pulita sono ancora una volta i più piccoli a bocciare la qualità del cibo: del 36% di coloro che non amano mangiare in mensa (al 64% piace pranzare a scuola perché mangia con i compagni) il 71% trova monotono il cibo, il 48% lamenta le porzioni scarse e il 37% dice che l’ambiente è triste.
Solo un bambino su dieci dice di mangiare tutti i cibi serviti alla mensa. Una questione che riguarda gli avanzi: secondo l’Osservatorio sulla ristorazione collettiva e nutrizione tra ottobre e novembre 2015, il 12,6% di un pasto cucinato per ciascun alunno rimane ogni giorno nel piatto, trasformandosi in spreco. Da un punto di vista economico, l’osservatorio, quantifica lo spreco in 0,18 in centesimi per pasto. Cittadinanzattiva chiede un cambiamento: “Serve convocare gli Stati generali della ristorazione scolastica. Il servizio mensa non deve essere considerato più a domanda individuale, facoltativo ed extrascolastico ma rientrare nei livelli essenziali delle prestazioni. Nel frattempo tutte le scuole devono essere dotate di apposita sala mensa”.