Una condanna a due anni e otto mesi per l’ex presidente di Banca Etruria Giuseppe Fornasari e per l’ex dg Luca Bronchi, a due anni per il dirigente dell’istituto di credito aretino Davide Canestri. Queste le richieste fatte dal procuratore della Repubblica di Arezzo Roberto Rossi e dal pm Julia Maggiore al processo, con rito abbreviato davanti al gup Annamaria Loprete, per i tre imputati del primo filone di inchiesta sul crac di Banca Etruria, relativo all’ipotesi di reato di ostacolo all’autorità di vigilanza. L’inchiesta su Fornasari, Bronchi e Canestri, venne aperta dalla procura aretina alla fine del 2013, dopo che a Rossi arrivò la relazione degli ispettori della Banca d’Italia che da poco avevano concluso il loro lavoro nella sede dell’istituto aretino in via Calamandrei. Il rapporto venne trasmesso alla procura perché, secondo gli ispettori, potevano esserci state criticità di rilevanza penale nel bilancio 2012.
Qualche mese più tardi venne aperto il secondo fascicolo: gli ultimi due presidenti, Fornasari e Lorenzo Rosi, oltre a Bronchi, vennero indagati per alcune fatture che, per la procura, erano state fatte per operazioni inesistenti. Dopo il commissariamento della banca, nel febbraio 2015, la procura ha poi aperto un terzo filone d’inchiesta che nel gennaio scorso ha portato a 14 perquisizioni in altrettante società che avrebbero ricevuto finanziamenti dall’istituto di via Calamandrei quando alla presidenza c’era Rosi e nel consiglio, tra gli altri, anche Luciano Nataloni. A marzo invece sono arrivati i primi indagati tra cui il padre del ministro Boschi per bancarotta fraudolenta. A giugno sono stati invece notificati gli avvisi di garanzia: ancora Fornasari, l’ex consigliere di amministrazione Giorgio Guerrini e funzionario dell’istituto aretino, Paolo Luigi Fiumi, che aveva istituito la pratica per un finanziamento di oltre 20 milioni di euro alla società Privilege Yard. E poi a luglio Alberto Rigotti, consigliere di amministrazione dell’istituto aretino fino al 2010.
Quello della bancarotta è l’ultimo filone dell’inchiesta sulla gestione della vecchia Banca Etruria, quella che dopo le presidenze di Fornasari e di Lorenzo Rosi, venne commissariata nel novembre 2015. Era stato proprio il commissario liquidatore, Giuseppe Santoni ad evidenziare nella relazione alla Banca d’Italia la situazione di difficoltà dell’istituto e, sempre lui, aveva sottolineato una serie di finanziamenti ‘sospetti’, per oltre 100 milioni di euro, che sarebbero stati concesso “senza reali garanzie” a vari personaggi. Quello alla Privilege Yard sarebbe stato uno di questi: la società di Civitavecchia doveva costruire yacht di lusso ma dai suoi cantieri non ne sarebbe mai uscito uno. Di “irreversibilità dello stato di crisi”, e di un “drammatico ed irreversibile dissolvimento dello stato patrimoniale dell’ente”, parlarono i giudici del tribunale fallimentare del tribunale di Arezzo lo scorso 11 febbraio 2016, quando dichiararono lo “stato d’insolvenza” della banca, trasmettendo gli atti all’ufficio del procuratore capo, Roberto Rossi, già titolare dell’inchiesta. Proprio Rossi, nel marzo scorso aveva chiesto e ottenuto il sequestro di una parte della liquidazione concessa all’ex dg Luca Bronchi dal consiglio di amministrazione presieduto dall’ultimo presidente dell’istituto Rosi, dove sedevano, tra gli altri, i vicepresidenti Alfredo Berni e Pierluigi Boschi, padre del ministro per le riforme Maria Elena.