Nei verbali dell'operazione Six Town, il collaboratore di giustizia Francesco Oliverio racconta la spartizione mafiosa di Rho - la città del milanese che ha ospitato l'Expo - e l'interesse verso "i camion dei panini" intorno al Meazza. Intanto la Corte d'appello di Milano ha confermato le condanne su un gruppo di presunti 'ndranghetisti che, secondo l'accusa, avevano cercato di mettere le mani sul catering dell'impianto sportivo
Spunta anche lo stadio di San Siro a Milano nelle carte dell’inchiesta “Six Towns” che il 18 ottobre ha portato all’arresto di 36 persone ritenute vicine alla cosca Marrazzo di Belvedere di Spinello (Crotone). Nel fascicolo dell’indagine sono finiti i verbali del collaboratore di giustizia Francesco Oliverio che, prima di diventare capolocale del paese, per 20 anni ha vissuto a Rho dove – è scritto nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere – “fino ai primi anni 2000 non era stato attivato alcun locale di ‘ndrangheta”.
Ed è proprio in Lombardia – nella città alle porte di Milano che ha ospitato l’Expo – che, per lungo tempo, il pentito ha “mafiosamente operato”, scrive il magistrato. “Oliverio Francesco riferisce che gli è stato proposto dagli Arena, dal momento che aveva le cariche e le doti di ‘ndrangheta sufficienti, di attivare un locale unitamente ad alcuni maggiorenti del Locale di Legnano (sempre in provincia di Milano, ndr). Oliverio Francesco”, continua il gip, “non gradendo il personaggio che gli era stato proposto come socio, Sanfilippo Stefano, ha declinato l’invito adducendo a scusante l’impegno di risolvere problematiche nella sua terra d’origine”. Una decisione, si legge ancora nelle carte, “pacificamente accolta da Sanfilippo Stefano che ha attivato, come ‘capo’, il Locale di Rho, ed ha accolto di buon grado di convivere sullo stesso con la ‘ndrina distaccata di Belvedere di Spinello”. Quest’ultima, ricostruiscono gli investigatori, “riservava per sé la prelazione sul movimento terra, sul racket estorsivo in pregiudizio dei venditori ambulanti di panini in zona San Siro e sullo spaccio al minuto di sostanze stupefacenti”. Unica clausola posta dal Sanfilippo “è stata quella di essere messo al corrente in anticipo in relazione a qualsiasi azione importante – dal danneggiamento all’omicidio – che avesse in progettazione la ‘ndrina distaccata di Oliverio Francesco per non rimanere spiazzato dinanzi ad un evento imprevisto”.
Rispondendo alle domane del pm Salvatore Curcio, il collaboratore di giustizia racconta le condizioni che ha preteso da Sanfilippo per mettersi da parte e consentirgli di diventare il capo-locale della cittadina dell’hinterland milanese: “Noi del crotonese ci raccogliamo tra noi… però noi siamo a Rho a disposizione del locale però vi faccio presente che a me mi interessa il movimento terra, l’edilizia ed il movimento terra ed il commercio di… di… quello dei camion dei panini che mettono a San Siro queste cose qua ed attività commerciali di cui mi rispose… il capo locale di Rho mi rispose: quello che fai tu è ben fatto, noi sappiamo chi sei… l’importante che qualunque cosa fai, per non fare la figura di pulcinella davanti agli altri, se fai un’iniziativa me lo puoi anticipare, tipo fare un atto di forza contro una ditta… se vai a prendere… e… mi avete capito cosa voleva dire, magari poi arriva un capo locale di un paese vicino mi chiama e non gli so rispondere e dice che cosa rappresenti… mi puoi fare questa gentilezza di mettermi al corrente di qualunque cosa del resto, quello che fai… tuo fratello… siete tutti qua da una vita… meglio di te chi le può sapere le cose, quello che fate è ben fatto…”.
Reggio chiama, Milano risponde. Le parole del pentito Francesco Oliverio fanno il paio con quanto, negli ultimi anni, è emerso da importanti inchieste della Direzione distrettuale antimafia come “Crimine”, “Infinito” e alcuni stralci dell’indagine “Meta” che ha portato alla recente operazione “Mamma Santissima”. Ecco un altro brano del collaboratore Oliverio.
Oliverio: “C’era un crimine a Milano… cioè sì, sì, Milano, Milano”.
Pm Curcio: “Milano, quindi alla provincia di Milano”.
Oliverio: “Sono 24-25 locali in Lombardia che rispondeva Reggio Calabria, come Crimine rispondeva a Reggio Calabria”.
Intanto, a proposito, degli interessi dei clan attorno allo stato San Siro, la Corte d’Appello di Milano ha confermato le condanne per i sei imputati che hanno scelto il rito ordinario nel processo nato da un’inchiesta della Dda di Milano sulla cosca De Stefano-Tegano-Libri. I referenti della famiglia di Archi (Reggio Calabria), avevano come base operativa la zona tra piazza Prealpi e corso Sempione. Stando alle indagini dei carabinieri, coordinate dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dai pm Paola Biondolillo e Marcello Tatangelo, gli imputati avevano tentato di mettere le mani sul servizio catering per le partite del Milan allo Stadio di San Siro. La Corte d’Appello, su richiesta del sostituto procuratore generale Lucilla Tontodonati, ha confermato la sentenza di primo grado e ha condannato il boss Vincenzo Martino a 20 anni di carcere e il fratello Domenico a 11 anni e 3 mesi.
Sono stati giudicati colpevoli anche Giovanni Deuscit (14 anni e 10 mesi), l’ex poliziotto Marco Johnson (2 anni e 8 mesi) e Cosimo Dicorato (2 anni e 3 mesi). Pena ridotta a 12 anni e 2 mesi, invece, per Alessandro Nucara. A fine mese, infine, ci sarà il processo d’appello per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato e tra questi il boss Giulio Martino e l’imprenditore Cristiano Sala. Quest’ultimo, secondo gli inquirenti, attraverso la sua società di ristorazione avrebbe cercato di mettere le mani sul servizio catering per le partite del Milan allo stadio San Siro.