Curioso caso quello dei King 810, band americana originaria di Flint (nel Michigan) la cui musica altro non è che lo specchio terribile, e fedele, di una delle città classificate “tra le più pericolose” degli interi Stati Uniti. La Petite Mort or a Conversation with God è il secondo album del gruppo capitanato da David Gunn: un altro che le patrie galere le ha frequentate senza che nessuno, fortunatamente, buttasse via la chiave. Perché se non fosse per il suo “status” di artista parleremmo dell’ennesima morte precoce, di un enorme talento sprecato e bruciato via al ritmo martellante (del ricordo) della musica dei King810: tra metal e hardcore, tra Ministry, Killing Joke, Korn e Slipknot, e l’odore acre delle sparatorie contrapposto alla piacevolezza lignea del palcoscenico di una storia che scorre via triste.
Risulta quasi difficile, se non impossibile dare i contorni di un simile discorso musicale che più che un filotto di canzoni è pura poetica “metallara”, ferrosa: un grido disperato e livoroso che dalla periferia muove con passi da gigante verso il centro. In galera più che minorenni, sopravvissuti ad un tentativo di rapina sventato nient’altro che dalla loro stessa incoscienza, clienti privilegiati di qualsivoglia posto di blocco, i King 810 sfornano un disco che spinge sull’acceleratore senza mai sterzare e tantomeno frenare. La Petite Mort or a Conversation with God è la conferma ad altissimi livelli di un gruppo quasi unico nel suo genere, che alterna l’irriverenza e la sfrontatezza del punk alla compattezza del metal: un monologo, un fiume di parole e sassate che risulterà a tanti difficilmente digeribile se non con le dovute premesse. Quelle di cui sopra, niente meno.
Da più parti acclamato come uno dei dischi (di genere, e non) migliori di questo 2016 che volge al termine senza troppe altre sorprese (i già citati Korn e gli immancabili Metallica ‘esclusi’), l’opera ultima dei King 810 emerge dal marasma monotematico della musica moderna se non altro per la sua spiccata originalità, e pur senza sconvolgere catalizza l’attenzione anche dei più distratti e diffidenti per questa continua oscillazione, ideale, tra monologo e brano canonico. Con l’augurio che la loro fama non cresca di pari passo con la follia dei fan che troppe volte, finora, hanno dato prova di “troppo amore”, “La Petite Mort or a Conversation with God” è un buon regalo per chi, comunque la si metta, è stanco di ascoltare la solita solfa ed è pronto a battere nuove improbabili strade, uscire dalla “comfort zone” delle playlist rassicuranti e predeterminate alla ricerca di un mondo pericoloso quanto affascinante e seduttore.