La spada di Damocle del rifiuto di Donald Trump di riconoscere la propria – eventuale, ma sempre più probabile – sconfitta grava sulle elezioni presidenziali dell’8 novembre negli Stati Uniti. Rispondendo a una domanda sui sospetti di brogli da lui avanzati, il magnate crea la sorpresa e dice: “Lascio la suspense. Deciderò al momento”. Restano tutti di stucco: il moderatore, un giornalista della Fox, Chris Wallace, e i siti dei media, che subito cambiano i titoli d’apertura.
L’unica che s’era preparata a questa eventualità è Hillary Clinton. La candidata democratica replica: “Tutte le volte che le cose non vanno come lui vuole, lui dice che sono truccate”; e snocciola tutta una serie di esempi, fino agli Emmy non vinti dal suo programma tv. Hillary dice: “Donald denigra la democrazia americana, è il candidato più pericoloso che ci sia mai stato”. Lui afferma: “Il voto è truccato a partire dal fatto che la Clinton non dovrebbe potere correre, dovrebbe essere in prigione”.
La minaccia di contestare l’esito del voto isola ulteriormente il magnate: è in aperto contrasto sia con le posizioni assunte dal suo partito sia con quanto detto dal suo vice Mike Pence. Il principio della transizione senza sussulti da un’Amministrazione all’altra è bruscamente messo in discussione per la prima volta nella storia americana.
Sono i momenti salienti del terzo e ultimo dibattito in diretta televisiva fra i candidati democratico e repubblicano alla Casa Bianca: un dibattito senza strette di mano fra i due protagonisti, né prima, né dopo, che ha toccato anche temi non affrontati nei primi due, la composizione della Corte Suprema, l’aborto, il diritto di possedere e portare armi, le Fondazioni di famiglia, ma che ha pure offerto molti passaggi ripetitivi, su economia, tasse, occupazione, immigrazione, sicurezza, liberismo, mail, Putin, l’Isis, la Siria, i rapporti con le donne. Lui cita contro Hillary Bernie Sanders; lei, che ne ha avuto l’endorsement: “Chiediamogli chi sostiene per presidente”. E quando Trump se la prende con la Cina e gli immigrati, la Clinton gli ricorda: “Hai costruito la Trump Tower con lavoratori illegali e acciaio cinese”.
A caldo, i sondaggi dicono che le scelte di Trump sul palco dell’Università del Nevada a Las Vegas – stesso fondale dei dibattiti precedenti – non sono state vincenti: la Cnn dà la vittoria alla Clinton, anche se con margini meno netti che nei primi due incontri. Per il WP, il magnate, che è indietro nelle intenzioni di voto, non ha sfruttato la sua occasione di recuperare terreno. Quando il sipario cala, Donald, che appare quasi sgualcito, chiama la famiglia accanto a sé. Hillary scende a salutare la sua: a questo punto, l’ex first lady sa che deve solo non fare errori e stare attenta a non scivolare su una buccia di banana.
Trump, che deve recuperare, si presenta più aggressivo e a tratti approssimativo; la Clinton mantiene sempre il sorriso (un po’ posticcio) e la fermezza. Lui ha un vestito scuro e la cravatta rosso repubblicano; lei una tunica bianco panna, colletto coreano e taglio che evoca l’India, e pantaloni dello stesso tono, con un’acconciatura molto curata – molto meglio che l’abito un po’ stucchevole alla Vispa Teresa del secondo dibattito.
La Clinton dice che Trump è “un burattino di Putin”; Trump che Putin, e al Assad, sono più furbi del presidente Obama e della Clinton. L’ex segretario di Stato non invierà in Iraq soldati come “forza di occupazione”, il magnate sostiene che l’offensiva di Mosul sia stata lanciata per favorire la campagna della rivale (“Eravamo a Mosul, ce ne siamo andati e l’abbiamo persa”). Anche il dramma di Aleppo è, per Trump, colpa di Obama: “In Siria, noi appoggiamo i ribelli, ma manco sappiamo chi siano”.
Il repubblicano ammorbidisce un po’ i toni sulla deportazione degli immigrati illegali, ma assicura: “Impediremo a integralisti, musulmani, terroristi di entrare nel nostro Paese”. La democratica accentua i suoi sui controlli all’ingresso negli Usa in nome della sicurezza.
Il confronto è vivace, ma senza fatti nuovi, sull’ingerenza di hacker russi nelle elezioni americane, sui Paesi che possono avere il nucleare, sui rapporti con gli alleati, sulle fondazioni di famiglia. Lei vuole vedere la dichiarazione fiscale non pubblicata da lui – “Ci sono immigrati illegali che pagano più tasse di quante non ne abbia pagate Donald in 18 anni”; Trump l’accusa di avere creato l’Isis e la invita a restituire i soldi ricevuti da Paesi che non rispettano le donne. Lui pensa che la campagna di lei innesca la violenza e alimenta false illazioni nei suoi confronti; lei crede che lui semini insulti e divisione nella società americana.
Alla fine, i due sono stremati. E gli spettatori pure: lo spettacolo c’è stato, ma era ora che finisse.