PASTORALE AMERICANA di Ewan McGregor Con Ewan McGregor, Jennifer Connelly, Dakota Fanning. Usa, 2016 Durata 126’ Voto 3/5 (DT)
L’epopea dell’uomo che abita alla perfezione il “sogno americano”, lo “Svedese”, Seymour Levov, bello, amato, ricco, stimato, proprietario di una fiorente azienda di guanti, che s’imbatte nella rivoluzione del ’68 incarnata nella dolce figlia balbuziente che una volta cresciuta mette bombe negli uffici postali e fugge in clandestinità. È la distruzione dell’equilibrio, lo sfracello dell’anima, la quiete che s’incrina con tanto di moglie che lo tradisce. McGregor, all’esordio nella regia, prende di petto Pastorale Americana di Philip Roth e, chiaramente, non può che ridurlo ad un ossicino narrativo all’apparenza scarnificato ma alla lunga essenziale. Ciò che pare più interessare a McGregor, e allo sceneggiatore John Romano, è il cupio dissolvi dello Svedese, questa impossibile resa di fronte al fato, oltretutto della Storia, letteralmente ammucchiato sulle spalle dell’uomo perfetto. Così McGregor protagonista si carica di una fissità, di un self control, di una perfetta “ipocrisia borghese”, vacillante ma dura da abbattere che incanta lo spettatore, senza troppo far entrare in scena il narratore del libro, Nathan Zuckerman, da cui il racconto nasce. Attorno a Levov agiscono come pedine di uno scacchiere sempre farraginoso e instabile l’ambigua moglie Dawn (peccato che Jennifer Connelly sia già in parti cougar, non sembra); la robusta radicalizzazione della figlia Merry (brava la Fanning); come una messa in scena, una rappresentazione dello spazio che viene dipinta sempre con una tinta scura in più e un riflesso di luce in meno.