L'inchiesta "Panta Rei" dell'Antimafia e della Forestale che ha portato a quattro arresti e cinque denunce rivela gli sversamenti operati proprio dal Consorzio che doveva tutelare la salubrità delle acque. "Mannaggia la miseria! Mettevamo un po’ d’acqua, portavamo l’ammoniaca a otto”, dice uno degli arrestati. Ecco le intercettazioni
Prima il mercurio e i solventi “smaltiti” dall’ex stabilimento della Montesidon a Bussi sul Tirino. Adesso nel fiume Pescara sono state trovate anche quantità di arsenico dodici volte superiori al tetto consentito per legge. E l’arsenico è un cancerogeno, un inquinante potente. L’ha scoperto l’inchiesta “Panta Rei” sul traffico illecito di rifiuti e lo sversamento di liquami nel fiume Pescara, diretta dalla Dda e portata avanti dai comandi provinciali della Forestale di Pescara e Chieti. Un’inchiesta nata sulla spinta degli esposti anonimi per gli odori nauseabondi che arrivavano da quell’impianto come ha ricordato Antonietta Picardi, uno dei sostituti procuratori della Direzione distrettuale antimafia che si è occupata del caso.
L’impianto responsabile degli scarichi velenosi nel fiume è il Consorzio di bonifica Centro di Chieti. Il Consorzio vi scaricava consapevolmente arsenico (impiegato nelle procedure di depurazione dei fanghi) con dosaggi assurdi: una dozzina di volte i limiti prescritti dall’Autorizzazione integrata ambientale. E sapeva dell’arrivo dei controlli dell’Arta (Agenzia regionale per la tutela dell’ambiente). Arta che “già nel 2011 aveva segnalato pesantissimi deficit dell’impianto: un colabrodo, dalle vasche fuoriusciva di tutto perché c’erano buchi grossi come una mano” racconta al fattoquotidiano.it Augusto De Sanctis, uno degli ambientalisti che più si batte per la salvaguardia dell’ambiente abruzzese. Storie di ordinarie manomissioni dei campioni da far poi analizzare dall’Arta, come si evince per esempio da queste intercettazioni ambientali di un anno fa:
“Devo preparare tutto! Bottiglie, tutto” afferma uno dei personaggi coinvolti nell’inchiesta. “Date un correttivo! Un correttivo non fa male, eh – gli risponde un altro tecnico. Che poi aggiunge: “Tredici di ammoniaca. Ci avete messo un po’ di acqua allungata?… Così non li portate, non sia mai che esce quindici e qualcosa che mi vado a tagliare le palle con le mani mie… Mannaggia la miseria! Mettevamo un po’ d’acqua, portavamo l’ammoniaca a otto”.
Un vero e proprio attentato alla salute pubblica, quello configurato dall’operazione “Panta Rei” che ha portato fin qui in carcere quattro persone, mentre altre cinque sono state denunciate. Ecco spiegata, e per l’ennesima volta, la genesi del forte inquinamento di vasti tratti del mare abruzzese, a cui va aggiunto “il mancato rispetto dell’ambiente che ci circonda” ha commentato il sostituto procuratore antimafia dell’Aquila David Mancini. E il sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia Antonio Laudati: “Di fronte all’arsenico messo nel fiume bisognava intervenire per la tutela dell’incolumità pubblica. Questo è un tipo di reato per cui c’è bisogno di una particolare sensibilità delle strutture pubbliche: sono reati vaghi, senza facce di vittime, ma che colpiscono un numero indeterminato di persone. E così ci ritroviamo mare inquinato, persone avvelenate, pesci ammazzati e ambiente distrutto”.
Un reato dagli effetti imprevedibili, e potenzialmente immani. La lezione di Bussi non è bastata. “Sconvolge che persone operanti per un soggetto pubblico come il Consorzio siano accusate di reati così gravi. Possibile che con tutti i problemi ambientali che abbiamo in Abruzzo le strutture del Consorzio siano diventate, negli anni, un punto di riferimento per lo smaltimento di rifiuti da tutta Italia? – si chiede il Forum abruzzese dei movimenti per l’acqua -. Bisogna prosciugare il brodo di coltura fatto di incapacità, inadempienze diffuse e superficialità su cui poi può prosperare l’illegalità. E occorre una grande opera di trasparenza degli atti: solo per ottenere la pubblicazione dei dati dei controlli ai depuratori ci sono voluti 6 anni”.