INCHIESTA - Dal Paese delle aquile al Salento lungo la via dell'erba, che movimenta la vita di interi distretti sull’altra sponda dell'Adriatico. Cecchini, piantagioni ovunque, trattative al ribasso e accuse di collusione contro polizia e governo. “Solo chiacchiere, qui distruggiamo tutto, ma l’Ue ci aiuti” dice il ministro degli Interni al fatto.it
“Hai visto come siamo messi? Dobbiamo aspettare che raccolgano la marijuana per poter vendere qualcosa”. La signora Anna alza lo sguardo, mentre prende appunti. Sa che, nonostante la lingua, abbiamo capito cosa volesse dire l’uomo che è appena andato via. “Tempo fa ci aveva chiesto di mettergli da parte un attaccapanni, lo avrebbe pagato con i proventi della vendita delle piante. Pensavamo ci prendesse in giro e così lo abbiamo dato ad altri. Poi, invece, è tornato con i soldi. Ora ha visto una cameretta. Ci ha pregato di attendere fino alla prossima maturazione”. Il quaderno dei “pagherò” è pieno di date delle future riscossioni. Negli ultimi tempi, a dettare il ritmo degli incassi è il ciclo di vita della cannabis. “Tutti producono nei villaggi qui vicino. Non è che possiamo stare a vergognarcene. È l’economia”, dice Anna, che dopo anni in Italia ora gestisce qui un negozio di mobili.
A Valona l’autunno inizia a farsi sentire, nonostante i tavolini dei caffè all’aperto ancora popolati. È rampante, Vlore, che ogni anno diventa un’altra città: lavori per chilometri sul lungomare, piazze e viali dalle insegne luccicanti, ora anche l’autostrada fino alle porte del centro abitato. È il nuovo che avanza. “Questi, poi, sono gli investimenti dei privati. Un sacco di soldi. Molti li hanno tirati su grazie all’erba. Li vedi? Qua sotto hanno anche i depositi dello stoccaggio, dove portano la droga prima di imbarcarla”. Mentre guida, Miri indica dei palazzoni nuovi di zecca: 10, 15 piani, spuntano come funghi al posto dei vecchi quartieri dalle case basse e le pergole con tralci di vite. Ma non è solo questione di grandi affari: “C’è un amico che paga l’università della figlia a Tirana, c’è quello che manda qualcosa ai nipoti rimasti in Italia. Ci va bene, perché poi vengono a spendere quello che resta da noi”, continua, sorridendo, anche lui commerciante al dettaglio.
In Albania, buona parte dello stato sociale, garantito dalle rimesse dall’estero fino a qualche anno fa, ora si regge sulla marijuana. Lo ammette anche il ministro degli Interni albanese, Saimir Tahiri, a ilfattoquotidiano.it: “La guerra alla droga non può essere solo impegno della polizia, ma deve andare alle cause del fenomeno. Povertà e mancanza di lavoro spingono i contadini, specie nelle zone più remote, a coltivare cannabis, perché si fanno soldi più facili”. Gli agricoltori, però, sono solo l’ultimo e più debole anello di una catena che ha negli intermediatori lo snodo fondamentale. Lo stanno raccontando anche le inchieste delle procure italiane: il cervello del narcotraffico è in Albania ed è in grado di gestire i corridoi della droga fino a destinazione finale, senza farsi più usare ma trattando alla pari con le mafie nostrane.