Merita una riflessione la gaffe diplomatica che l’Italia ha commesso, astenendosi due volte sulla decisione dell’Unesco di mettere in dubbio il legame tra Israele e Gerusalemme, e tra gli ebrei e i luoghi sacri dell’ebraismo presenti in questa città.

Non occorre essere esperti di cultura ebraica, religiosa o laica, per trovare centinaia di preghiere, poesie, racconti, romanzi (fra i tanti, “Il Signor Mani” di Abraham Yehoshua) e canzoni popolari in cui questa città, molto prima della nascita dello stato ebraico, si trova al centro delle speranze e della vita quotidiana, sia delle comunità diasporiche sia di chi abitava in Palestina (prima del ’48) e in Israele (dopo la nascita dello stato ebraico).

È sempre prezioso stare attenti alle virgolette. Ad esempio, nel testo della celebre organizzazione internazionale, ogni volta che viene menzionato il Muro del Pianto, la dicitura è virgolettata, “The western wall”, mentre nomi cari all’Islam, quali al-Ḥaram, al-Šarīf, al-Aqṣā non vengono virgolettati e la loro presenza viene data come un fatto naturale. Il monte del tempio, invece, che ha una connotazione ebraica per eccellenza (ebraica, dico, non israeliana), non figura nemmeno nel testo.

Mi pare che l’unico motivo realistico a tale surreale decisione possa essere la volontà dell’Unesco di spronare – fra virgolette o meno – Israele a tornare a un negoziato sia con i palestinesi, sia con la Giordania e tornare allo status quo che c’era alla Spianata delle Moschee prima del 2000. Il governo Netanyahu non è disposto, pare, a negoziare nemmeno con un paese con il quale Israele ha firmato un vero accordo di pace.

Chi legge attentamente questa ultima decisione troverà tuttavia alcuni punti che migliorano la situazione israeliana. Il comma 3 recita che l’Unesco “riconferma di nuovo l’importanza che ha la parte antica di Gerusalemme e le sue mura per le tre religioni monoteiste”. Queste poche ma importanti righe mancavano in un analogo documento di aprile ed è chiaro che si riconosce il legame fra l’ebraismo e la Gerusalemme antica.

Chi si scandalizza per questa risoluzione mal concepita e mal scritta farà bene a ricordare che Gerusalemme è in parte un territorio occupato e tale viene giudicato dalla maggior parte degli stati del mondo, dal diritto internazionale e anche dal maggior alleato di Israele, gli Stati Uniti. Se si vuole riconoscere il rapporto profondo fra lo stato di Israele e gli ebrei del mondo ebraico con Gerusalemme, sarebbe meglio negoziare con i vicini con condividono con Israele la città sacra: palestinesi, musulmani e forse anche rappresentanti cristiani. Il rifiuto di negoziare, anche se si prolunga nel tempo, non diventa diritto internazionale.

Sarebbe opportuno ricordare ai diplomatici italiani che è più facile mettere in dubbio il legame fra lo stato italiano e Roma, e mai nessun diplomatico israeliano lo farebbe. Per esempio, ricordando a chi se lo è scordato che Roma non è la prima capitale dell’Italia bensì la terza, dopo Torino e Firenze. E senza limitarsi alla storia del Risorgimento e alla questione di Roma, in decine di discorsi leghisti sono presenti critiche verso Roma Capitale – e non parlo di leghisti anonimi ma dei leader storici e attuali, ex ministri importanti della Repubblica italiana.

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