Il tecnico olandese ogni domenica è vittima e artefice della mediocrità nerazzurra: non ha mai capito il calcio italiano, ma la colpa principale è di chi ha pensato che la soluzione potesse essere lui, il tulipano beige, arrivato ad agosto con la squadra già fatta. Come i giochi sul suo futuro
Le sopracciglia costantemente corrucciate, gli occhi incrociati, la bocca semiaperta: quell’ espressione un po’ intontita di chi vorrebbe dire qualcosa di intelligente ma non ha capito bene la domanda. Frank De Boer non è riuscita ancora a togliersela dalla faccia da quando è arrivato in Italia, e chissà se avrà tempo a sufficienza per farlo. Gli eventi si accavallano, le formazioni si confondono, le sconfitte si moltiplicano. L’Inter, la nuova Inter dei cinesi che ha speso quasi 100 milioni di euro per tornare grande, è di nuovo in crisi. E lui sarà il primo a pagarla, se nelle prossime giornate le cose non miglioreranno.
In effetti, del capro espiatorio l’olandese molto poco volante ha il physique du rôle perfetto: palmares internazionale inesistente, carisma da impiegato di banca, nessuno “sponsor” pesante alle spalle (Erick Thohir, che si dice averlo voluto fortemente, è un presidente pro tempore, comunque non più azionista di maggioranza). E poi anche quell’immagine di totale spaesamento, a cui contribuiscono le conferenze stampa metà in inglese e metà in italiano balbettato. Ma è anche difficile fargliene una colpa: come potrebbe sentirsi del resto un tecnico che fino a poche settimane fa aveva allenato solo in Olanda. Vinto anche tanto (quattro titoli di fila, prima di perderne due), per carità, ma pur sempre in Eredivisie: torneo lontano anni luce dal nostro, dove la pressione è limitata almeno quanto l’attitudine delle formazioni a difendere, puntare sui giovani è la regola e si pensa prima al futuro e poi al presente. Mentre in Italia l’unità di tempo che scandisce il nostro calcio è quella delle settimane, se non dei giorni. E non c’è futuro senza presente.
Non è comunque solo per scarso pedigree e fotogenicità, o diversità culturale e linguistica che l’olandese è già a rischio esonero a poco più di due mesi dal suo approdo in nerazzurro. La sua Inter semplicemente non funziona: un’identità l’avrebbe anche trovata (con i due esterni larghi al fianco di Icardi e un centrocampista di raccordo a supporto), ma così concepita questa formazione segna poco e incassa una marea di gol, per colpa di errori individuali e cali di concentrazione inspiegabili e costanti. De Boer era arrivato ad agosto con una dote generosa di fiducia e pazienza, che si sta evidentemente esaurendo. Aveva cominciato malissimo (un punto tra Chievo e Palermo), gli si era data la prima sosta per lavorare con calma e i primi frutti sembravano vedersi, con la grande vittoria di San Siro contro la Juventus. Invece a quel successo non è seguita la crescita attesa, anzi. L’Inter peggiora di partita in partita, e non solo per i risultati. Forse impauriti dalle batoste, i nerazzurri hanno anche smesso di giocare quel calcio fatto di pressing e possesso che sembrava essere l’impronta di De Boer. Per diventare, però, un’ameba calcistica, una formazione che attacca male e difende malissimo, finendo per essere sempre in balia degli avversari (che si chiamino Sparta Praga, Cagliari o Roma poco cambia). Il ko di Bergamo contro l’Atalanta è stato forse il punto più basso della stagione, specie nel primo tempo. La squadra sembra già non seguire più il suo allenatore. Ed è soprattutto questo a far pensare che forse un cambio in panchina, per quanto assurdo e prematuro, non sarebbe poi così immotivato. A cambiare realmente il destino di De Boer ci vorrà qualcosa in più di una vittoria col Torino nel turno infrasettimanale (magari fortunosa e casuale come lo è stata quella in Europa League col Southampton).
Certo, poi bisognerebbe mettere in discussione anche chi l’ha portato all’Inter: ovvero un’intera dirigenza allo sbando, che in piena ricostruzione societaria e calcistica, ha pensato bene di affidare la squadra ad un allenatore giovane e straniero, senza alcuna esperienza di calcio internazionale o conoscenza del calcio italiano. Un mix devastante, di cui ogni domenica De Boer è al contempo vittima e artefice. Se davvero qualcuno da quelle parti credeva in lui e nelle sue idee tattiche, il suo approdo in Italia andava preparato meglio: al momento giusto, con il tempo necessario per ambientarsi e uno staff per supportarlo ad ogni livello. Non in pieno agosto, con l’obbligo che tutti gli allenatori dell’Inter hanno sempre avuto di fare bene e farlo subito. A quel punto, dopo l’addio traumatico di Mancini, meglio sarebbe stato affidarsi ad un usato sicuro, un tecnico italiano di esperienza, così da affrontare il campionato con un minimo di preparazione tattica e poi sperare che le qualità dei singoli (che certo non mancano) facessero la differenza. Probabilmente quello che succederà fra poco. Invece per il momento c’è De Boer, un marziano a Milano, che continua a non capirci nulla dell’Inter, della Serie A e di quello che gli sta accadendo intorno. Come l’hanno catapultato ingiustamente in questa realtà che non gli appartiene, Suning e i cinesi potranno anche rimandarlo a casa. Esonerate pure De Boer: lui, forse, nemmeno se ne accorgerà.