“La Chiesa deve dire di no alla ‘ndrangheta. I mafiosi sono scomunicati. La ‘ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato. Bisogna dirgli di no”. Le parole di Papa Francesco pronunciate durante la sua visita in Calabria nel giugno 2014 erano chiare. Non lasciavano adito a fraintendimenti. Eppure non sono state ascoltate da tutti. Sicuramente non le ha ascoltate don Giuseppe Svanera, parroco di Platì, che ai mafiosi non solo dice di sì, ma gli celebra i funerali, “li attende in chiesa e va a visitarli”. La polemica si è consumata tutta tra il 22 e il 23 ottobre quando il questore di Reggio Calabria Raffaele Grassi ha notificato al parroco un’ordinanza con cui ha vietato i funerali pubblici e in forma solenne per Giuseppe Barbaro conosciuto con il soprannome di “U cenni”. Si tratta di un esponente di spicco della ‘ndrangheta di Platì che nei giorni scorsi, a 54 anni, è morto in carcere dove stava scontando una pena perché condannato dal Tribunale di Torino a 5 anni nel processo “Minotauro”. Dal Piemonte alla Calabria, le regole della ‘ndrangheta sono le stesse. Comprese quelle dei funerali, ritenuti un momento importante per le famiglie mafiose che, proprio in queste occasioni, sfoggiano il loro potere e la loro capacità di piegare anche la Chiesa.
IL RICORSO AD ALFANO CONTRO IL QUESTORE – Per Giuseppe Barbaro, all’insaputa del vescovo di Locri, don Giuseppe Svanera prende carta e penna e scrive al ministro Angelino Alfano formulando un ricorso avvers o l’ordinanza del questore sostenendo che ha “infranto il principio di non ingerenza tra Stato e Chiesa”. Nella lettera, il parroco di Platì sfoggia le sue conoscenze giuridiche e, “sicuro di vostro benevole accoglimento del ricorso”, prima ricorda ad Alfano alcuni articoli della Costituzione e una sentenza del Tar della Campania e poi giunge alla conclusione che il “provvedimento di divieto questorile integra un illegittimo impedimento e limitazione allo svolgimento dell’ordinario rito funebre in forma pubblica previsto dal rito cattolico”. ‘Ndrangheta uno, Chiesa zero
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FUNERALI VIETATI PER TUTTI I MAFIOSI – Eppure il divieto dei funerali pubblici non è una novità in territori come quello di Platì. Poche settimane fa c’è stata la stessa ordinanza in occasione della morte del boss Paolo Sergi, un noto trafficante di cocaina coinvolto in numerose inchieste antimafia nell’ambito delle quali erano emersi i contatti tra il mondo dei narcos e delle brigate rosse. A queste latitudini, non c’è un mafioso morto che può vantare di aver ricevuto un trattamento diverso da quello imposto dal questore Raffaele Grassi.
Portano la sua firma, infatti, i divieti per altri funerali: da quello di Rocco Musolino, il “Re della Montagna” (ritenuto un boss anche se non è mai stato condannato per mafia), a quello dell’imprenditore di Palmi Vincenzo Oliveri, da quello del boss Antonio Nirta di San Luca a quello di Domenico Polimeni (uomo di fiducia dell’ex pentito Giuseppe Greco ucciso ad aprile).
E questi sono solo i morti eccellenti degli ultimi mesi per i quali è stato vietato il funerale in forma solenne, così come in passato è stato per il boss di Gebbione Santo Labate, per Domenico Vallelunga (padrino di Serra San Bruno), per il boss di Rosarno Giuseppe Pesce, per quello di Sinopoli Mico Alvaro, per il mammasantissima di Siderno Vincenzo Macrì (conosciuto con il nome di “barone”), per l’anziano patriarca Nicola Cataldo e per il reggente della cosca di Seminara Giuseppe Vincenzo Gioffré.
Ma a Don Giuseppe Svanera questo non interessa. D’altronde l’anno scorso aveva concesso una stanza della parrocchia per una protesta (organizzata dall’attuale sindaco di Platì Rosario Sergi) contro la frase del sottosegretario Marco Minniti che, dopo gli attentati terroristici in Belgio, aveva affermato “Molenbeek come Platì”. Una frase che non ha provocato un incidente diplomatico ma che, paradossalmente, ha urtato la suscettibilità degli abitanti di Platì.
DON GIUSEPPE CONTRO LO STATO – Ritornando al funerale di Giuseppe Barbaro, sentito telefonicamente da ilfattoquotidiano.it il parroco rincara la dose: “È arrivata un’ordinanza del questore, l’ha portata la polizia e semplicemente ho detto che non sono d’accordo. Ho fatto tutto quello che c’era scritto lì, ma allo stesso tempo ho pensato che era conveniente e doveroso mandare questa nota al ministro Alfano. Personalmente non sono d’accordo che un questore possa proibire un funerale in chiesa. Un corteo lo può proibire senza nessun problema, ma in chiesa non comanda lo Stato. E dato che questo signore era battezzato e i familiari volevano i funerali in chiesa, io i funerali li faccio in chiesa, piaccia o non piaccia al questore. Non è lui che deve dare ordini”. E dopo la benedizione della salma al cimitero? “Alle 11 abbiamo celebrato la nostra messa in chiesa perché i familiari avevano affisso i manifesti con gli avvisi. Pensavamo di fare il funerale con il corpo ma l’abbiamo fatto senza. Però l’abbiamo fatto”.
Ma la Procura ritiene che Barbaro fosse un mafioso? “Io non so cosa pensa e cosa fa la ‘ndrangheta. Quello che è chiaro è che sono cittadino italiano e in quanto tale esigo che si compiano certi diritti. Io sono prete e, quindi, sono a disposizione della mia comunità cristiana, agli ordini del vescovo. Nessun può interferire su cosa faccio in chiesa. La ‘ndrangheta non è una questione mia. Sono venuto qui a fare il prete e non a cercare i mafiosi. La ‘ndrangheta è una questione dei giudici, dei carabinieri e degli avvocati. Che facciano il loro lavoro. Io faccio il mio. Qui ci sono almeno 600 o 700 persone di cognome Barbaro. Chi sono i criminali lo devono sapere i carabinieri. Io so che ci sono queste persone, li attendo quando vengono in chiesa, vado a visitarli. Io di mafia so solo quello che voi giornalisti scrivete. Per me un mafioso ha gli stessi diritti di una persona che non lo è”.
IL PROCURATORE DE RAHO: “I FUNERALI PUBBLICI VENGONO VIETATI PER EVITARE EPISODI COME QUELLO DEI “CASAMONICA” – “Credo che la Chiesa debba con lo Stato (e quindi con le forze dell’ordine e con la magistratura) condividere un percorso di legalità senza contrapposizioni soprattutto quando il tema è la partecipazione di famiglie di ‘ndrangheta a manifestazioni pubbliche. Anche se queste, poi, si concretizzano in funerali organizzati da famiglie mafiose che rappresentano una manifestazione del potere della ‘ndrangheta”. Per il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho non ci sono dubbi su come in certi territori la Chiesa sia sottomessa alle cosche: “Probabilmente – aggiunge a il fattoquotidiano.it – bisognerebbe che tutti ci muovessimo in un’unica direzione per avere un risultato più immediato anche nei confronti della ‘ndrangheta. San Luca e Platì sono comuni in cui la ‘ndrangheta ha un ruolo di signoria”.
Non lo dice espressamente, ma a questo punto il magistrato pone pure la questione dei contributi dati alle chiese: “La forza della ‘ndrangheta è quella che elargisce anche denaro. A volte non si guarda a chi dà il denaro o altre forme di contributo, ma si guarda soltanto a quello che si riceve. Se cominciassimo anche sotto questo profilo a selezionare i contributi, e tutto ciò che fa la mafia per apparire vicina alla religione e alla chiesa, probabilmente si comincerebbe a meditare sui comportamenti che sono stati tenuti. Quando chi rappresenta i valori e i principi della religione si oppone ai comportamenti di censura nei confronti della ‘ndrangheta, si crea una confusione enorme anche nella gente. Quella gente che è assoggettata al potere mafioso e che si accorge che nemmeno la Chiesa si oppone a chi fa del male”. “Il questore – conclude De Raho – doveva vietare i funerali in forma pubblica e questo avviene anche per evitare episodi come quello dei Casamonica. La popolazione è indirettamente e implicitamente costretta a partecipare ai funerali. Chi non partecipa finisce per rappresentare il proprio dissenso e questo nelle comunità piccole è gravissimo e non può avvenire. Così un rito religioso finisce per tradursi in una manifestazione di potere”.
IL VESCOVO OLIVA: “SE NON POSSIAMO NEANCHE PREGARE…” – Sul funerale del boss Giuseppe Barbaro, interviene anche il vescovo di Locri Francesco Oliva che racconta cosa è successo domenica quando si è precipitato a Platì per capire cosa stava facendo don Giuseppe: “Pensavo che il prete non avesse rispettato l’ordinanza del questore – ha spiegato a ilfattoquotidiano.it – Ero preoccupato e invece lui l’ha rispettata. Ho definito Giuseppe Barbaro un ‘padre di famiglia’ perché lo è: è sposato e ha quattro figli. Ma con questo non voglio giustificare i precedenti criminali. Che fuori dal cimitero si siano radunate delle persone, non dipende dal parroco. Chi deve fare rispettare l’ordinanza da questo punto di vista?”. E sulla messa in chiesa dopo la benedizione al cimitero? “Pregare per un defunto, – aggiunge il vescovo – chiunque esso sia, anche un delinquente, si fa sempre. Sono disposizioni dei vescovi calabresi. Si è sempre fatto così. Sono vietate le manifestazioni pubbliche, ma pregare per un defunto si può fare. Se non possiamo neanche pregare… a questo punto chiudiamo le chiese. Il parroco ha fatto quell’istanza al ministro Alfano senza consultarmi”. L’alto prelato prende le distanze dal ricorso di don Giuseppe Svanera. E nello stesso tempo lo difende: “L’unico divieto è che queste celebrazioni non avvengono in maniera solenne. Ma una messa sobria e senza la salma è una cosa ordinaria. La chiesa prega anche per il peccatore”.
Mafie
Platì, il parroco contro il divieto di funerali all’esponente dei clan: “In Chiesa comando io, non lo Stato”
Nel 2014 Papa Francesco, da Sibari, disse: "Gli 'ndranghetisti sono scomunicati". Ora, a distanza di due anni, don Giuseppe Svanera fa un esposto al ministro dell'Interno Alfano contro la decisione del questore di far celebrare esequie pubbliche per Giuseppe Barbaro, esponente della cosca locale. Il procuratore Cafiero De Raho sul rapporto tra chiesa e clan: "A volte non si guarda a chi dà il denaro, ma si guarda soltanto a quello che si riceve". Il vescovo di Locri: "Si prega anche per il peccatore"
“La Chiesa deve dire di no alla ‘ndrangheta. I mafiosi sono scomunicati. La ‘ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato. Bisogna dirgli di no”. Le parole di Papa Francesco pronunciate durante la sua visita in Calabria nel giugno 2014 erano chiare. Non lasciavano adito a fraintendimenti. Eppure non sono state ascoltate da tutti. Sicuramente non le ha ascoltate don Giuseppe Svanera, parroco di Platì, che ai mafiosi non solo dice di sì, ma gli celebra i funerali, “li attende in chiesa e va a visitarli”. La polemica si è consumata tutta tra il 22 e il 23 ottobre quando il questore di Reggio Calabria Raffaele Grassi ha notificato al parroco un’ordinanza con cui ha vietato i funerali pubblici e in forma solenne per Giuseppe Barbaro conosciuto con il soprannome di “U cenni”. Si tratta di un esponente di spicco della ‘ndrangheta di Platì che nei giorni scorsi, a 54 anni, è morto in carcere dove stava scontando una pena perché condannato dal Tribunale di Torino a 5 anni nel processo “Minotauro”. Dal Piemonte alla Calabria, le regole della ‘ndrangheta sono le stesse. Comprese quelle dei funerali, ritenuti un momento importante per le famiglie mafiose che, proprio in queste occasioni, sfoggiano il loro potere e la loro capacità di piegare anche la Chiesa.
IL RICORSO AD ALFANO CONTRO IL QUESTORE – Per Giuseppe Barbaro, all’insaputa del vescovo di Locri, don Giuseppe Svanera prende carta e penna e scrive al ministro Angelino Alfano formulando un ricorso avvers o l’ordinanza del questore sostenendo che ha “infranto il principio di non ingerenza tra Stato e Chiesa”. Nella lettera, il parroco di Platì sfoggia le sue conoscenze giuridiche e, “sicuro di vostro benevole accoglimento del ricorso”, prima ricorda ad Alfano alcuni articoli della Costituzione e una sentenza del Tar della Campania e poi giunge alla conclusione che il “provvedimento di divieto questorile integra un illegittimo impedimento e limitazione allo svolgimento dell’ordinario rito funebre in forma pubblica previsto dal rito cattolico”. ‘Ndrangheta uno, Chiesa zero
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FUNERALI VIETATI PER TUTTI I MAFIOSI – Eppure il divieto dei funerali pubblici non è una novità in territori come quello di Platì. Poche settimane fa c’è stata la stessa ordinanza in occasione della morte del boss Paolo Sergi, un noto trafficante di cocaina coinvolto in numerose inchieste antimafia nell’ambito delle quali erano emersi i contatti tra il mondo dei narcos e delle brigate rosse. A queste latitudini, non c’è un mafioso morto che può vantare di aver ricevuto un trattamento diverso da quello imposto dal questore Raffaele Grassi.
Portano la sua firma, infatti, i divieti per altri funerali: da quello di Rocco Musolino, il “Re della Montagna” (ritenuto un boss anche se non è mai stato condannato per mafia), a quello dell’imprenditore di Palmi Vincenzo Oliveri, da quello del boss Antonio Nirta di San Luca a quello di Domenico Polimeni (uomo di fiducia dell’ex pentito Giuseppe Greco ucciso ad aprile).
E questi sono solo i morti eccellenti degli ultimi mesi per i quali è stato vietato il funerale in forma solenne, così come in passato è stato per il boss di Gebbione Santo Labate, per Domenico Vallelunga (padrino di Serra San Bruno), per il boss di Rosarno Giuseppe Pesce, per quello di Sinopoli Mico Alvaro, per il mammasantissima di Siderno Vincenzo Macrì (conosciuto con il nome di “barone”), per l’anziano patriarca Nicola Cataldo e per il reggente della cosca di Seminara Giuseppe Vincenzo Gioffré.
Ma a Don Giuseppe Svanera questo non interessa. D’altronde l’anno scorso aveva concesso una stanza della parrocchia per una protesta (organizzata dall’attuale sindaco di Platì Rosario Sergi) contro la frase del sottosegretario Marco Minniti che, dopo gli attentati terroristici in Belgio, aveva affermato “Molenbeek come Platì”. Una frase che non ha provocato un incidente diplomatico ma che, paradossalmente, ha urtato la suscettibilità degli abitanti di Platì.
DON GIUSEPPE CONTRO LO STATO – Ritornando al funerale di Giuseppe Barbaro, sentito telefonicamente da ilfattoquotidiano.it il parroco rincara la dose: “È arrivata un’ordinanza del questore, l’ha portata la polizia e semplicemente ho detto che non sono d’accordo. Ho fatto tutto quello che c’era scritto lì, ma allo stesso tempo ho pensato che era conveniente e doveroso mandare questa nota al ministro Alfano. Personalmente non sono d’accordo che un questore possa proibire un funerale in chiesa. Un corteo lo può proibire senza nessun problema, ma in chiesa non comanda lo Stato. E dato che questo signore era battezzato e i familiari volevano i funerali in chiesa, io i funerali li faccio in chiesa, piaccia o non piaccia al questore. Non è lui che deve dare ordini”. E dopo la benedizione della salma al cimitero? “Alle 11 abbiamo celebrato la nostra messa in chiesa perché i familiari avevano affisso i manifesti con gli avvisi. Pensavamo di fare il funerale con il corpo ma l’abbiamo fatto senza. Però l’abbiamo fatto”.
Ma la Procura ritiene che Barbaro fosse un mafioso? “Io non so cosa pensa e cosa fa la ‘ndrangheta. Quello che è chiaro è che sono cittadino italiano e in quanto tale esigo che si compiano certi diritti. Io sono prete e, quindi, sono a disposizione della mia comunità cristiana, agli ordini del vescovo. Nessun può interferire su cosa faccio in chiesa. La ‘ndrangheta non è una questione mia. Sono venuto qui a fare il prete e non a cercare i mafiosi. La ‘ndrangheta è una questione dei giudici, dei carabinieri e degli avvocati. Che facciano il loro lavoro. Io faccio il mio. Qui ci sono almeno 600 o 700 persone di cognome Barbaro. Chi sono i criminali lo devono sapere i carabinieri. Io so che ci sono queste persone, li attendo quando vengono in chiesa, vado a visitarli. Io di mafia so solo quello che voi giornalisti scrivete. Per me un mafioso ha gli stessi diritti di una persona che non lo è”.
IL PROCURATORE DE RAHO: “I FUNERALI PUBBLICI VENGONO VIETATI PER EVITARE EPISODI COME QUELLO DEI “CASAMONICA” – “Credo che la Chiesa debba con lo Stato (e quindi con le forze dell’ordine e con la magistratura) condividere un percorso di legalità senza contrapposizioni soprattutto quando il tema è la partecipazione di famiglie di ‘ndrangheta a manifestazioni pubbliche. Anche se queste, poi, si concretizzano in funerali organizzati da famiglie mafiose che rappresentano una manifestazione del potere della ‘ndrangheta”. Per il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho non ci sono dubbi su come in certi territori la Chiesa sia sottomessa alle cosche: “Probabilmente – aggiunge a il fattoquotidiano.it – bisognerebbe che tutti ci muovessimo in un’unica direzione per avere un risultato più immediato anche nei confronti della ‘ndrangheta. San Luca e Platì sono comuni in cui la ‘ndrangheta ha un ruolo di signoria”.
Non lo dice espressamente, ma a questo punto il magistrato pone pure la questione dei contributi dati alle chiese: “La forza della ‘ndrangheta è quella che elargisce anche denaro. A volte non si guarda a chi dà il denaro o altre forme di contributo, ma si guarda soltanto a quello che si riceve. Se cominciassimo anche sotto questo profilo a selezionare i contributi, e tutto ciò che fa la mafia per apparire vicina alla religione e alla chiesa, probabilmente si comincerebbe a meditare sui comportamenti che sono stati tenuti. Quando chi rappresenta i valori e i principi della religione si oppone ai comportamenti di censura nei confronti della ‘ndrangheta, si crea una confusione enorme anche nella gente. Quella gente che è assoggettata al potere mafioso e che si accorge che nemmeno la Chiesa si oppone a chi fa del male”. “Il questore – conclude De Raho – doveva vietare i funerali in forma pubblica e questo avviene anche per evitare episodi come quello dei Casamonica. La popolazione è indirettamente e implicitamente costretta a partecipare ai funerali. Chi non partecipa finisce per rappresentare il proprio dissenso e questo nelle comunità piccole è gravissimo e non può avvenire. Così un rito religioso finisce per tradursi in una manifestazione di potere”.
IL VESCOVO OLIVA: “SE NON POSSIAMO NEANCHE PREGARE…” – Sul funerale del boss Giuseppe Barbaro, interviene anche il vescovo di Locri Francesco Oliva che racconta cosa è successo domenica quando si è precipitato a Platì per capire cosa stava facendo don Giuseppe: “Pensavo che il prete non avesse rispettato l’ordinanza del questore – ha spiegato a ilfattoquotidiano.it – Ero preoccupato e invece lui l’ha rispettata. Ho definito Giuseppe Barbaro un ‘padre di famiglia’ perché lo è: è sposato e ha quattro figli. Ma con questo non voglio giustificare i precedenti criminali. Che fuori dal cimitero si siano radunate delle persone, non dipende dal parroco. Chi deve fare rispettare l’ordinanza da questo punto di vista?”. E sulla messa in chiesa dopo la benedizione al cimitero? “Pregare per un defunto, – aggiunge il vescovo – chiunque esso sia, anche un delinquente, si fa sempre. Sono disposizioni dei vescovi calabresi. Si è sempre fatto così. Sono vietate le manifestazioni pubbliche, ma pregare per un defunto si può fare. Se non possiamo neanche pregare… a questo punto chiudiamo le chiese. Il parroco ha fatto quell’istanza al ministro Alfano senza consultarmi”. L’alto prelato prende le distanze dal ricorso di don Giuseppe Svanera. E nello stesso tempo lo difende: “L’unico divieto è che queste celebrazioni non avvengono in maniera solenne. Ma una messa sobria e senza la salma è una cosa ordinaria. La chiesa prega anche per il peccatore”.
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Tel Aviv, 4 mar. (Adnkronos) - Il Ministero degli Esteri israeliano afferma che la dichiarazione del vertice arabo tenutosi al Cairo per discutere della ricostruzione di Gaza non ha affrontato la realtà della situazione successiva al massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023. "È degno di nota che il feroce attacco terroristico di Hamas non venga menzionato e che non vi sia nemmeno una condanna di questa entità terroristica omicida, nonostante le atrocità documentate", afferma la dichiarazione.
il ministero elogia invece il piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di trasferire i cittadini di Gaza, sostenendo — nonostante Trump parli di trasferire tutta la popolazione della Striscia — che in base a questo, "c'è un'opportunità per i cittadini di Gaza di scegliere liberamente. Questo deve essere incoraggiato".
Sana'a, 4 mar. (Adnkronos) - Gli Houthi hanno abbattuto un drone statunitense nei cieli della città portuale di Hodeidah nello Yemen. Lo ha dichiarato portavoce del gruppo, Yahya Saree, in un post su Telegram.
Washington, 4 mar. (Adnkronos) - Secondo due fonti informate sui colloqui, gli Stati Uniti e l'Ucraina potrebbero firmare l'accordo sui minerali già oggi. Lo rende noto Abc News, secondo cui Trump ha indicato ai suoi principali consiglieri che vorrebbe concludere l'accordo prima del suo discorso congiunto al Congresso.
Il Cairo, 4 mar. (Adnkronos) - Il vertice arabo convocato al Cairo ha adottato un piano egiziano per la ricostruzione di Gaza. Lo ha affermato il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi in una dichiarazione conclusiva. Il piano mira a contrastare le proposte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per una "Riviera mediorientale" con un piano per ricostruire la Striscia devastata senza sfollare la sua popolazione.
Parigi, 4 mar. (Adnkronos/Afp) - Il presidente francese Emmanuel Macron ha accolto con favore la volontà del suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky “di riprendere il dialogo con gli Stati Uniti d'America”, secondo quanto riferito dall'Eliseo.
Il capo di Stato “ha ribadito la determinazione della Francia a lavorare con tutte le parti interessate per attuare una pace solida e duratura in Ucraina”, ha dichiarato la presidenza.
Roma, 4 mar. (Adnkronos) - Elly Schlein è netta sul piano lanciato oggi da Ursula Von der Leyen. "Noi non ci stiamo", la posizione della segretaria del Pd. Una linea che, pur con sfumature diverse, trova d'accordo anche l'area riformista dem. Servono "modifiche", dice Lorenzo Guerini. In particolare, a mettere tutti d'accordo è la bocciatura della proposta della presidente della Commissione Ue sulla possibilità di dirottare i fondi di Coesione sulle spese per la difesa. E non solo. Anche la deroga al patto di Stabilità da parte dei singoli Stati, fuori da regia e investimenti comuni sulla difesa, è giudicata un errore trasversalmente tra i dem.
Schlein ha già annunciato che porterà la posizione del Pd alla riunione dei Socialisti e Democratici giovedì mattina a Bruxelles, il pre-vertice che precede il Consiglio europeo straordinario. In vista dell'appuntamento Schlein oggi ha sentito il premier spagnolo Pedro Sanchez. "Una lunga conversazione sullo scenario internazionale e la complicata situazione mondiale", fanno sapere fonti dem. Quella del Pd è la delegazione più numerosa nella famiglia socialista europea. Senza l'ok dei socialisti il piano Von der Leyen traballa. "È il momento delle scelte e della chiarezza. Abbiamo bisogno di una risposta all'altezza della sfida globale - strategica, economica, politica - al ruolo dell'Europa nel mondo. E questa risposta non è quella presentata oggi", rimarca Schlein.
Negli equilibri interni al Pd, la sollecitazione dei riformisti è quella di lavorare per modificare il piano Von der Leyen, "aiutare ad andare nella direzione giusta" ed evitare che ci si arrocchi in un "no a tutti i costi". L'importante, si spiega, "è non mettere in discussione la necessità dell'aumento di risorse per la difesa europea". Per Guerini si tratta di un'esigenza "ineludibile". Quindi la sollecitazione del presidente del Copasir: "Ora bisogna mettersi al lavoro, innanzitutto all’interno del Pse, per confermare in maniera convinta il nostro impegno per maggiori investimenti e capacità militari europee provando a dare un indirizzo più coerente agli strumenti per farlo".
Per Schlein "quella presentata oggi da Von Der Leyen non è la strada che serve all’Europa. All’Unione europea serve la difesa comune, non il riarmo nazionale. Sono due cose molto diverse". Anche il titolo 'Rearm' ha fatto sobbalzare più di uno e anche la segretaria lo mette in evidenza. "Il piano Von Der Leyen, a partire dal titolo, punta sul riarmo e non emerge un indirizzo politico chiaro verso la difesa comune".
Quindi elenca i nodi: "Indica una serie di strumenti che agevolerebbero la spesa nazionale ma senza porre condizioni sui progetti comuni, sull’interoperabilità dei sistemi. Ci sono molti aspetti da chiarire, ad esempio su come funzionerebbe il nuovo meccanismo in stile Sure, per capire se finanzia progetti comuni o spesa nazionale. Ma questa -avverte- non è la strada giusta. Manca ancora la volontà politica dei governi di fare davvero una difesa comune e in questo piano della Commissione mancano gli investimenti europei finanziati dal debito comune, come durante la pandemia. Così rischia di diventare il mero riarmo nazionale di 27 paesi e noi non ci stiamo".
"Noi -insiste- abbiamo un’idea precisa. Quello che serve oggi è un grande piano di investimenti comuni per l’autonomia strategica dell’Ue, che è insieme cooperazione industriale, coesione sociale, transizione ambientale e digitale, sicurezza energetica e anche difesa comune. Anche, ma non solo! Magari cancellando le altre cruciali priorità su cui i governi sono più divisi. È irrinunciabile contrastare le diseguaglianze che sono aumentate. Per questo è inaccettabile utilizzare i fondi di coesione per finanziare le spese militari nazionali".
Punti critici che vengono rilevati anche dai riformisti. Per Guerini "la proposta Von der Leyen definisce giustamente l’obiettivo in termini di risorse", ma "così come è stata prospettata necessita di essere modificata: è sbagliato l’utilizzo dei fondi di coesione e c’è poco coraggio a sostenere un vero salto in senso europeo delle spese per la difesa". Avverte Alessandro Alfieri: gli strumenti "che mettiamo in campo devono portare ad una maggiore integrazione delle principali aziende della difesa europea. In questo senso, se non vengono messe condizionalità alle deroghe al patto di stabilità, l’aumento dei bilanci dei singoli Paesi verrà speso prevalentemente su mercati extra Ue, da cui oggi dipendiamo per l’80%. Aumentando la dipendenza strategica dagli Usa anziché diminuirla".
Per il coordinatore della minoranza dem, il Pd non dovrà far "mancare il proprio contributo in tutte le sedi così come spiegheremo che serve una narrazione diversa che convinca le opinioni pubbliche europee a sostenere la sfida ineludibile della costruzione della difesa europea. Magari chiamando questa sfida Protect Europe invece di Rearm. Perché anche il linguaggio ha la sua importanza...”.
Interviene anche Giorgio Gori a sollevare criticità: sarebbe "un errore - ritengo, da parte della Commissione Europea - autorizzare maggiori spese per la difesa dei singoli Stati membri, in deroga al patto di stabilità, fuori da una comune regia. Ciò finirebbe per approfondire la frammentazione, senza apprezzabili benefici per la sicurezza comune. La deroga dal patto dovrebbe invece essere autorizzata solo per gli investimenti comuni: così si porrebbero le condizioni per l'avvio di un vero sistema di difesa europeo". E poi "ugualmente discutibile appare poi la contrapposizione tra spesa per la difesa e spesa sociale, suggerita dalla facoltà per gli Stati membri di attingere ai fondi per la coesione". Intanto questa mattina la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno ha lanciato un appello via social per un'Europa 'Libera e forte' in 5 punti, difesa comune compresa. Oltre duemila, finora, le adesioni.