La motivazione per cui la Suprema corte non ha accolto l’istanza avanzata dall'associazione dei consumatori è il "difetto di legittimazione attiva". Ha cioè riscontrato che non è un soggetto titolare dei requisiti necessari per avanzare la richiesta anche perché non presentato a suo tempo richiesta di referendum costituzionale e quindi non è una "parte" nel procedimento per il referendum
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile l’istanza presentata dal Codacons all’Ufficio centrale per il referendum, chiedendo la correzione del quesito referendario relativo alla riforme costituzionali. La motivazione per cui la Suprema corte non ha accolto l’istanza avanzata dall’associazione dei consumatori è il “difetto di legittimazione attiva”. Ha cioè riscontrato che non è un soggetto titolare dei requisiti necessari per avanzare la richiesta anche perché non presentato a suo tempo richiesta di referendum costituzionale e quindi non è una “parte” nel procedimento per il referendum.
La “bocciatura” del ricorso segue quella del Tar del Lazio che aveva respinto il ricorso, sempre sul quesito, presentato da Sinistra Italiana e Movimento Cinque Stelle. Ora l’ultima parola spetta alle Sezioni Unite della Cassazione, che il 15 novembre si pronunceranno sul ricorso dell’associazione per “eccesso di giurisdizione”. “Sul quesito referendario sembra che tutti se ne lavino le mani – afferma il presidente Carlo Rienzi – L’Ufficio centrale del referendum, ovviamente, non poteva riconoscere un proprio errore, e il rigetto della nostra istanza era purtroppo prevedibile. Attendiamo ora fiduciosi la decisione della Cassazione, ultima possibilità per modificare un quesito referendario che appare scorretto nei confronti dei cittadini, ai quali va garantita sempre correttezza ed imparzialità”.
La norma sulle correzioni materiali e la revocazione delle sentenze si può applicare alle ordinanze dell’Ufficio centrale per il referendum “solo nell’ipotesi in cui queste abbiano costituito l’atto conclusivo del procedimento, e la rimozione – dicono i giudici motivando la decisione odierna – o la modificazione di esse non esplichi alcuna incidenza sulle attività delle fasi successive, poste in essere da organi differenti, di rango costituzionale”. In questo caso, si legge nell’ordinanza, “non solo è prevista, ma vi è stata in concreto l’attivazione di fasi successive (deliberazione del Consiglio dei ministri e decreto del Presidente della Repubblica di indizione del referendum, fissazione della data del referendum), così da precludere sia l’esercizio dell’impugnazione per revocazione delle ordinanze sia la loro revoca, ostandovi il divieto di invasione delle sfere di attribuzione di altri organi”.
Il Tar deve ancora pronunciarsi invece su un ricorso dell’ex presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida (la decisione è attesa per il 17 novembre). Un’istanza analoga è stata presentata sempre da Onida, insieme alla professoressa Barbara Randazzo, anche al tribunale civile di Milano (in questo caso i giudici dovrebbero prendere una decisione il 28 ottobre). All’Huffington Post Onida ha sottolineato che il suo ricorso è diverso da quello presentato dai legali di M5s e Sinistra Italiana. “Quel ricorso puntava sul fatto che il quesito sia ingannevole – ha spiegato l’alto magistrato – Quello che abbiamo presentato noi, invece, solleva essenzialmente il problema della disomogeneità del quesito stesso, che si riferisce ad oggetti e contenuti multipli e molto diversi tra loro. Questo lo rende lesivo della libertà di voto dell’elettore perché gli viene sottoposta un’unica domanda a cui può rispondere con un Sì o con un No, mentre ad essere oggetto di modifiche costituzionali sono molti aspetti diversi ed eterogenei”.