La proposta dei cinquestelle di dimezzare gli stipendi dei parlamentari è pura demagogia. Si sceglie di punire la politica intesa oramai come sinonimo di ladrocinio organizzato, di magna magna eccetera eccetera, invece che affrontare il veleno che deturpa l’immagine della classe dirigente: la prevalente assenza di qualità, di competenza, di integrità di chi è chiamato ad assolvere un mandato elettivo. Il monte dei parlamentari espulsi dal Movimento avrebbe dovuto suggerire a Beppe Grillo di lasciare l’indennità dove sta e approfondire e forse cambiare i criteri di selezione dei suoi portavoce, molti, troppi dei quali dimostratisi non all’altezza. Ma sarebbe stato un lavoro più faticoso e forse anche impietoso nei confronti dei suoi compagni di viaggio. E così ci si incammina verso la via breve, la furbata del dimezzamento dello stipendio per ridurre all’onestà per decreto i parlamentari forse spendaccioni e forse inetti.

La battaglia per il No al referendum ha tra i suoi cardini il giudizio di irrilevanza della riduzione dei costi del nuovo Senato se comparati alla qualità e al curriculum dei nuovi senatori, figure raccolte nel sottobosco della pratica clientelare regionale. Ed infatti è così. Non serve a nulla risparmiare pochi milioni di euro (cinquanta al massimo) se poi si affidano le sorti della Repubblica a rappresentanti dalle mani bucate, dai profili personali inguardabili, dalle pratiche quotidiane offensive.

La reputazione della politica si recupera rendendo trasparenti e rigorosi i criteri di selezione della classe dirigente, individuando le mele marce senza attendere l’arrivo dei carabinieri o l’inchiesta della Procura, affermando come inviolabile il principio di lealtà verso l’elettore e facendolo rispettare.

Questa proposta non tiene conto del cortocircuito logico che scatena.

E alla demagogia grillina fa da controcanto quella di Matteo Renzi, populista che dichiara di voler combattere il populismo ma che alla prova dei fatti è pari al suo avversario. Renzi, per puro calcolo elettorale (sa che sulla questione il sentimento popolare è furiosamente contro), propone la risibile idea di allineare lo stipendio alle presenze in Aula. Come se oggi già non fosse così. Dobbiamo aspettarci allora di vedere i tornelli a Montecitorio?

Non ci rendiamo conto che se il tema resta lo stipendio e non la qualità, la serietà, l’integrità di chi svolge un mandato elettivo, riduciamo la politica a una fornace in cui solo i peggiori sono chiamati e indichiamo ai tanti militanti, sto pensando a quelli del Movimento Cinque Stelle che si dannano l’anima da mattina a sera (e a gratis), che è tutto tempo perso. La politica è solo fogna e chi viene eletto – naturalmente uno sfaccendato perché altrimenti avrebbe impegni assai più seri da attendere – è malandrino per principio. E se è un malandrino la prima cosa che dobbiamo fare è tagliargli almeno lo stipendio. Certo forse ruberà su tutto il resto, forse contribuirà ad approvare leggi ignobili, a fare da scendiletto a leader sconsiderati, a stare in compagnia di farabutti, però almeno metà dello stipendio glielo abbiamo tolto di mano. Vuoi mettere la soddisfazione?

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