E' quanto l'ente presieduto da De Luca deve rimborsare agli organismi di appartenenza dei dipendenti presi in prestito. A cominciare dal Comune di Napoli che ha già recapitato una ingiunzione di pagamento di 1 milione di euro. Per i "comandati" utilizzati nelle segreterie politiche dei consiglieri di tutti i partiti
Circa 25 milioni di euro per l’ esercito dei comandati che si è avvicendato dal 2004 al 2016. E’ pesante il debito del Consiglio regionale nei confronti di Comuni, ministeri, aziende ospedaliere, Asl ed in generale enti pubblici i quali, con il proprio personale concesso in prestito, hanno gonfiato le segreterie politiche e gli organici dei portaborse a disposizione dei consiglieri regionali campani.
MAL DI ENTE “Come prevede la legge”, spiega ilfattoquotidiano.it Lucia Corretto, da un anno direttore generale del settore Risorse umane, strumentarie e finanziarie del consiglio regionale, “avremmo dovuto rimborsare regolarmente e periodicamente stipendi ed oneri accessori dei comandati agli enti di appartenenza. In moltissimi casi, però, nell’arco di oltre un decennio non è stato fatto. Le amministrazioni dalle quali provenivano quelle persone hanno continuato a pagare lo stipendio ai dipendenti, nonostante non li avessero più a disposizione, ed il Consiglio regionale ha omesso di restituire quelle somme”. Il debito è dunque cresciuto a dismisura e c’è chi, come il comune di Napoli, ha già avviato le procedure per mettere in mora la Regione guidata dal governatore Vincenzo De Luca, recapitando una ingiunzione di circa un milione di euro relativa ai soldi mai incassati, dal 2007 ad oggi, per tre impiegati comunali che hanno prestato la propria attività in Consiglio regionale. Altri creditori si apprestano a seguire l’esempio ed a pretendere quanto avrebbero dovuto incamerare già da tempo per i comandati che hanno ceduto all’ente regionale. Che rischia seriamente, a questo punto, di essere sommerso da migliaia di lettere di messa in mora e di dover saldare, in futuro, parcelle da capogiro, comprensive di interessi e compensi per gli avvocati delle controparti.
RIMETTIAMO IL DEBITO Negli uffici del Consiglio si corre ai ripari, dunque, e si mette in conto di pagare quanto dovuto. I problemi, però, sono due: recuperare le risorse, perché 25 milioni circa non sono uno scherzo, e quantificare esattamente, oltre alla dimensione totale del debito, il numero dei creditori. Ci si è affidati, dunque, a due gruppi di lavoro e ad altrettanti progetti specifici, finanziati entrambi con risorse pubbliche. Il più recente è stato affidato a cinque dipendenti, remunerati complessivamente con ottomila euro, e dovrà mettere ordine nei numeri e fotografare con esattezza la situazione debitoria relativa al periodo compreso tra il primo luglio 2015 ed il 31 dicembre 2016. Per capire, invece, quanto il Consiglio regionale dovrà sborsare per i comandati che si sono avvicendati tra il 2004 e la prima metà del 2015 ed a chi dovranno essere versati i soldi ha lavorato un altro gruppo, coordinato da Francesco Capalbo, all’epoca capo dipartimento della segreteria generale e fratello di Ferruccio, magistrato alla Corte dei Conti. I risultati di quell’accertamento sono stati trasmessi al settore Bilancio, ma al momento neppure uno dei creditori ha ricevuto quanto dovuto.
PER CHI PAGA LA CAMPANIA Il caso riaccende i riflettori su un tema, quello della pletora di comandati nel Consiglio regionale della Campania, che già in passato ha suscitato polemiche e dibattiti. L’anomalia è nei numeri ed appare evidente: a fronte di 212 dipendenti, il Consiglio regionale ha la bellezza di 103 persone che frequentano gli uffici e le segreterie politiche in virtù di una posizione di comando. Provengono dai ministeri, dall’Agenzia delle Entrate, dalle Università, dai Comuni, dalle società controllate dalla Regione, dall’Istat e da altre realtà. Approdano in Regione con la copertura di una qualche inderogabile esigenza e necessità temporanea, formulata ed argomentata da chi ne fa richiesta – consigliere o membro dell’ufficio di presidenza che sia – e rimangono per anni in quelle stanze, tra gli uffici delle commissioni, delle segreterie particolari e dei gruppi politici presenti nell’assemblea consiliare. Liberi, finalmente, da rigidi orari di lavoro da rispettare e mansioni precise da svolgere. Sempre meglio che timbrare.