La giunta per le immunità del Senato si è espressa contro la sindacabilità del senatore Ncd nel processo penale per calunnia aggravata ai danni del magistrato che risale a quando era sindaco. Nasce così l'istituto dell'immunità ex post. Contro l'ex sindaco di Milano hanno votato solo i 3 senatori del M5S e Felice Casson (Pd). Tutti gli altri, Pd, Ap e il resto delle opposizioni compresa la Lega, si sono espressi in suo favore
Ci aveva provato senza successo col Parlamento europeo, ce l’ha fatta con quello italiano: Gabriele Albertini (Ap-Ncd) è insindacabile. La Giunta per le Immunità del Senato “salva” di fatto l’ex sindaco di Milano dal processo a suo carico accogliendo la richiesta della relatrice Rosanna Filippin (Pd) di pronunciarsi contro la procedibilità per i giudizi che espresse da sindaco. Una decisione che, di fatto, introduce nel nostro ordinamento l’istituto dell’immunità retroattiva e anticipa per certi versi gli effetti della riforma del Senato, dove i sindaci-senatori saranno coperti da immunità per le opinioni che esprimo in quanto amministratori.
Contro Albertini, che era stato querelato per calunnia dal Pm milanese Alfredo Robledo, hanno votato solo i 3 senatori del Movimento 5 Stelle e Felice Casson (Pd). Tutti gli altri, Pd, Ap e il resto delle opposizioni compresa la Lega, hanno votato in suo favore. Ci sono volute quattro sedute per arrivare a questo risultato e non poche forzature. Albertini, alla vigilia di una delle riunioni di giunta, aveva dichiarato apertamente che non avrebbe dato i voti alla maggioranza in Senato se quella non li avesse dati a lui. Il ricatto, mai smentito, ha funzionato e non è servito neppure leggere le carte: lo stesso Robledo, alla vigilia della penultima giunta, aveva fatto avere ai suoi componenti la richiesta di rinvio a giudizio di Albertini in sede penale nonché la sua condanna in sede civile presso il Tribunale di Brescia, intervenuta a fine settembre. Un atto dovuto per chiarire che all’epoca dei fatti Albertini era sindaco, non senatore. Tentativo inutile: la giunta vota per non acquisirle.
L’intera vicenda parte da lontano, quando Robledo era ancora procuratore aggiunto a Milano e indagava su vari filoni dell’amministrazione Albertini: i derivati, la questione degli emendamenti in bianco, l’acquisto di quote della Serravalle. Il primo cittadino di Milano, a più riprese, sostenne sui giornali che le indagini fossero mosse da fini politici e che nell’esercitare la sua funzione inquirente Robledo “usava metodi da gestapo“. Per questi articoli il magistrato lo querela citandolo in sede civile e penale. Il Tribunale civile di Brescia a settembre 2016 condanna l’ex sindaco, la Procura ne chiede il rinvio a giudizio. Ed è sul via libera al processo penale che era chiamata a esprimersi la giunta.
In vero Albertini aveva cercato l’immunità anche quando era parlamentare europeo senza riuscire a ottenerla proprio per il fatto che le sue opinioni erano riferibili a quando era sindaco e non eurodeputato. Una logica da cui si sfugge solo se ci s’infila la politica. E infatti Albertini condiziona, di fatto, il giudizio dei membri della giunta calando l’asso dell’appoggio alla maggioranza in Senato. Epilogo: la giunta vota come atto di fede, un po’ come i parlamentari ai tempi di Ruby “nipote di Mubarack”: Albertini ha espresso il suo convincimento nell’esercizio del suo mandato parlamentare, anche se parlamentare non era. Punto. Ora dovrà essere l’Aula del Senato a prendere la decisione definitiva sulla vicenda.