“Io sto con i cittadini di Gorino” scrive Matteo Salvini sulla sua pagina Facebook, nell’ennesimo tentativo di trarre beneficio elettorale da fatti di cronaca che meriterebbero una riflessione profonda, a destra e a sinistra. 20 esuli – non li posso chiamare profughi, in quanto fuggono da guerre che negano a questi il ritorno – arrivano la sera, su di un autobus, a Gorino, frazione di Goro, piccolo paese di 600 anime. Forse 300 persone, animate “dalla paura verso l’altro”, prendono dei bancali in legno e bloccano la strada.
Quando viene annunciata la presenza di una donna incinta qualcuno risponde seccato: “Non mi frega un cazzo! Se le porti a casa il prefetto le donne incinte. Sono tutti palliativi per mettercela nel culo” conclude. Chiaro, no? Per far digerire queste 12 donne, una incinta, e otto bambini, si è optato per allegarne – quasi fosse un pacco postale – una incinta. Questo secondo il pensiero di chi ha invitato il prefetto a mettersi la donna incinta a casa, ricalcando il tormentone di Salvini che fa “mettiteli a casa tua i profughi caro\a…”. Il problema è che c’è stata un’evoluzione: dalle parole si è passati ai fatti.
Trecento persone o poco più hanno pensato che 20 persone (ammesso che vengano considerate persone ma, a questo punto, ho seri dubbi) possano mettere in crisi l’ecosistema di Gorino. Potrebbero essere arrivati per rubare il lavoro; invadere i salotti di qualche casa immersa nella nebbia o forse a far villeggiatura, attraversando mezza Africa, il mare, per soggiornare a Gorino – meta ambitissima. “Probabilmente è così” pensa qualcuno di quelli che hanno impedito all’autobus di passare. La prova che non sono bisognosi potrebbero essere i cellulari: “Quando mai un profugo, un morto di fame, ha un cellulare?”. Questa è la testimonianza che, come ha detto qualcuno, “è un palliativo per mettercela in quel posto”. Non sono poveri bisognosi, altrimenti, come direbbe Salvini – noto filantropo – “aprirei casa mia a chi ha bisogno”, anche se mai l’ha fatto.
Sinceramente, terminando con l’ironia, mi sento di dire che sto con chi era su quell’autobus; a partire da quella donna incinta che poteva essere mia madre (o la nostra madre) e che ha visto rifiutare – dopo essere fuggita Dio sa da cosa e da quali orrori – un letto. Sto anche con i bambini: quelli di Gorino che hanno visto una scena indegna e che rischiano di crescere con quelle immagini nei loro ricordi; e con quelli nell’autobus che meritano un futuro e non dovrebbero essere accolti da barricate che non hanno nulla di nobile, se non il legno.