Un giorno dell’estate 2008 Teodoro Cosenti, un contadino di Brindisi, si presentò ai cancelli della centrale Enel per far vedere il proprio raccolto. Era sporco di carbone. Invendibile. Quel pulviscolo nero era arrivato sul suo terreno dal carbonile o dal nastrotraspartore dell’impianto Federico II di Brindisi, dove i dirigenti del colosso dell’energia, per anni hanno stoccato il combustibile a cielo aperto, facendo finta di non vedere quali danni provocasse. Che in effetti fosse così, lo ha stabilito il tribunale di Brindisi, che ha condannato Calogero Sanfilippo e Antonino Ascione, due importanti manager di Enel, a nove mesi e al risarcimento – assieme ad Enel Produzione – di Cosenti e altri 58 agricoltori.
È un piccolo atto di giustizia, sostanziale e morale. Perché mentre Cosenti se ne tornava a casa sperando che quel raccolto invendibile venisse pagato da chi tale lo aveva reso, questo era il tenore delle mail – estratte dai loro pc durante le indagini – che i due manager condannati si scambiarono nelle ore e nei giorni seguenti. “Io lo manderei a fare in culo dal nostro avvocato”, scriveva Sanfilippo ad Ascione. “Lo abbiamo risarcito altre due volte”, risponde il responsabile della centrale. “Ma adesso lo manderei a fare in culo…”, insisteva Sanfilippo. Alcuni giorni dopo, altra mail da Ascione: “La famiglia Cosenti è stata risarcita nel 2000 e nel 2005. In altre tre occasioni ha presentato richiesta senza essere risarcito – spiegava il responsabile dell’Unità Business di Brindisi – Condivido di mandarlo a fare in c…., anche se alla fine occorre risolvere il problema”. Come? “Una soluzione potrebbe essere quella di acquistare o di iniziare a mostrare interessamento all’acquisto del terreno”. La risposta di Sanfilippo, che è responsabile di tutte le centrali a carbone di Enel: “Sono d’accordo nel sentirlo ma, essendo un rompicoglioni tipo Spedicato (un altro agricoltore, nda), bisogna evitare che diventi una piattola. Ciao”.
Nella logica della produzione a tutti i costi, i danneggiati erano delle “piattole rompicoglioni”. Gente che per decenni prima dell’avvento di Enel a sud di Brindisi ha coltivato i campi si è ritrovata a fare i conti con quel nastrotrasportatore lungo 12 chilometri che taglia ora le loro campagne e quel carbonile, scoperto fino a pochi mesi fa, dal quale il combustibile svolazzava a ogni folata di vento, come hanno documentato la Digos nel corso delle indagini. Vedere per credere.
Del resto, per Sanfilippo, ancora oggi al suo posto in Enel, la produzione veniva prima di ogni cosa. Scriveva nel 2001 ad alcuni colleghi: “I fatti di cronaca ci disturbano, la nostra produzione ci solleva. Complimenti”. Eppure i problemi della centrale, come dimostra un lungo documento elaborato di Enel Ricerca, commissionato nello stesso anno, “nelle colture vegetali contigue alla centrale di Brindisi Sud sono stati rilevati soprattutto nei mesi estivi, fenomeni di sporcamento delle foglie da polvere di carbone”. Dovute a cosa? Enel se lo certificava da sola: “L’emissione di polveri dal carbonile è essenzialmente dovuta a si seguenti tre fattori: erosione dei cumuli di carbone da parte del vento, operazioni di caricamento e scaricamento, attività veicolari all’interno e a ridosso del carbonile”. Da alcuni mesi quei 125mila metri quadrati a cielo aperto, dove sono state stoccate milioni di tonnellate di combustibile, sono coperti. Ci hanno messo 15 anni. Quanto carbone è nel frattempo finito sui terreni delle piattole rompicoglioni? E ha provocato solo danni a frutta e ortaggi?