Via libera a Strasburgo al documento che chiede ai ventotto Paesi l'adozione di un Piano d'azione condiviso per combattere criminalità organizzata, corruzione e riciclaggio. Obiettivo, superare le differenze fra le normative nazionali che indeboliscono il contrasto ai boss e ai loro interessi economici. Tra i punti, la confisca a scopo preventivo, la tutela dei whistleblower e l'incandidabilità dei condannati. La relatrice: "La piaga riguarda tutta l'Unione. Ora speriamo in una proposta di legge della Commissione"
“La criminalità organizzata è una piaga che riguarda tutta l’Europa, non solo l’Italia. Bisogna contrastarla con linee guida comuni. E con questo voto l’introduzione nella legislazione europea del reato di associazione mafiosa è più vicina”. Con 545 sì, 91 no e 61 astensioni, gli eurodeputati riuniti in plenaria a Strasburgo hanno dato il via libera alla risoluzione che chiede ai ventotto Paesi l’adozione di un Piano d’azione europeo per combattere criminalità organizzata, corruzione e riciclaggio. Per Laura Ferrara, eurodeputata M5s e relatrice del testo, è un segnale che dà fiducia, anche se il percorso è ancora lungo. E la speranza è che la Commissione si attivi per una proposta legislativa.
(Sopra il testo approvato in Commissione e votato durante la sessione plenaria a Strasburgo)
Il contenuto della risoluzione – Prioritarie sono l’estensione della confisca anche a scopo preventivo, le regole per la tutela dei whistleblower entro la fine del 2017, l’incandidabilità nella pubblica amministrazione – e dunque anche nelle istituzioni Ue – per i colpevoli di riciclaggio, corruzione e altri reati gravi. Ma non solo. Nel testo approvato si chiede alla Commissione di stilare “una lista nera di tutte le imprese che abbiano comprovati legami con la criminalità organizzata o siano coinvolte in pratiche corruttive” e a “escludere da ogni rapporto economico con la pubblica amministrazione e dal godimento dei fondi europei”.
Proposta anche la creazione di un’unità specializzata di Europol per il contrasto dei gruppi organizzati “che operano contemporaneamente in diversi settori” e richiesto il rafforzamento di misure comunitarie per la “promozione della gestione di beni congelati e beni confiscati e del loro reimpiego per fini sociali e come indennizzo per le famiglie delle vittime e le imprese colpite da usura ed estorsioni”.
Ferrara: “Superati i riferimenti al sistema italiano” – “Nel testo si parla di organizzazione criminale ad ampio raggio e si comprendono anche associazioni di tipo mafioso. Di fatto – prosegue Ferrara – ritroviamo la definizione del 416 bis (nel documento al punto 18 b) anche se la parola ‘mafia’ non c’è”. Motivo? “Vogliamo colpire la condotta e la pericolosità che deriva dal vincolo associativo, ma superare i riferimenti al sistema italiano“. Una proposta che vuole essere il più possibile condivisa anche per “evitare la sensazione di ingerenza dell’Europa in ambiti che rientrano nella competenza del singolo stato membro”. L’obiettivo è di riuscire a “legiferare in ambito di norme minime comuni, specie dove non esiste già il reato di associazione a delinquere, per perseguire le stesse condotte sul territorio”.
Il problema delle linee guida condivise – Ma creare una base comune vuol dire scontrarsi con tradizioni giuridiche e culturali molto diverse. “Per fare capire che il problema è concreto e riguarda tutti, nei mesi scorsi abbiamo commissionato uno studio sui costi derivati dal mancato intervento dell’Europa alla lotta e alla criminalità organizzata“. Perché per alcuni Paesi è difficile capire quello che altrove è già legge. “Prendiamo l’Olanda ad esempio, dove non esiste il reato di associazione a delinquere quindi nemmeno quello di stampo mafioso – prosegue Ferrara -. Un procuratore, a fronte di un ordine d’arresto per sospetto di associazione mafiosa, può decidere di non procedere. Perché è un reato che quel Paese non riconosce. Lì, poi, non fa scandalo che la criminalità faccia affari nel settore della ristorazione o col mercato dei fiori di Rotterdam: fa comodo avere persone che investono e fanno girare l’economia”.
L’ostacolo alla condivisione di eventuali linee guida, per l’eurodeputata, non è legato all’ostruzionismo politico, ma “a motivi economici“. In più “in alcuni stati membri, a differenza dell’Italia, non esiste l’obbligatorietà dell’azione penale. Quindi, se il governo non ha individuato nella lotta alla corruzione una priorità, non si procede”. Una modalità che sarebbe “superata dalla condivisione di norme minime comuni”. Che includono anche una migliore circolazione delle informazioni all’interno dell’Unione europea, motivo per cui è stata proposta la creazione di un’unità speciale di Europol.
Il primo passo, ora, spetta alla Commissione. “Da parte di Julian King, commissario europeo per l’Unione della sicurezza, c’è volontà di dare seguito alla risoluzione, specie nell’ambito della confisca dei beni per uso sociale”. Ma l’Italia è il Paese più titolato per stendere le linee guida per i 28? “Non so se siamo i migliori – conclude Ferrara -. Certamente, per la nostra storia, siamo tra i Paesi più competenti”.