Il giudice si riserva sul rinvio alla Corte costituzionale chiesto dall'ex presidente della Consulta
Il giudice della prima sezione civile di Milano, Loreta Dorigo, si è riservata di decidere sul ricorso presentato dall’ex presidente della Corte Costituzionale, Valerio Onida, che ha chiesto di sollevare davanti alla Consulta l’eccezione di legittimità della legge 352 del 1970 istitutiva del referendum laddove non prevede l’obbligo di scissione del quesito quando ci sono più temi, come nel caso di quello sulla riforma costituzionale fissato per il 4 dicembre.
Onida contesta la chiarezza e l’omogeneità del quesito che per la sua eterogeneità viola la libertà di voto dell’elettore che si trova a dover decidere su “un intero pacchetto senza poter valutare le sue diverse componenti”. Il ricorso è stato discusso per oltre due ore alla presenza di Onida e della professoressa Barbara Randazzo, docente di Diritto costituzionale alla Statale di Milano e firmataria dell’istanza con l’alto magistrato. In udienza era presente anche l’avvocato dello Stato Gabriella Vanadia, che anche in questo caso ha chiesto il rigetto del ricorso. “Se lo scopo finale di queste domande è quello di incidere sulle prerogative politiche – aveva già spiegato Vanadia – non è lecito e va respinto, in quanto un procedimento di questo tipo non può incidere sulla politica”.
Il giudice deciderà nei prossimi giorni anche sul ricorso “parallelo”presentato da un pool di legali e discusso nei giorni scorsi davanti allo stesso magistrato. Si tratta della “squadra” di avvocati che ha vinto la battaglia davanti alla Consulta sul Porcellum. Anche gli avvocati Claudio e Ilaria Tani, Felice Besostri, Emilio Zecca e Aldo Bozzi hanno chiesto al giudice civile Dorigo di sollevare davanti alla Corte l’eccezione di legittimità della legge che regola l’indizione del referendum, “laddove non prevede l’articolazione dei quesiti in caso di referendum approvativo”.
Malgrado alcune differenze “tecniche”, la sostanza dei due ricorsi è la stessa. Il giudice aveva già deciso di non accorpare i due ricorsi.