Matteo Renzi nel 2006 aveva 31 anni ed era presidente della Provincia di Firenze, Ciriaco De Mita era quello di oggi: monumento all’intelligenza e al clientelismo di cui ha dato prova in mezzo secolo di ininterrotto potere, anche personale e anche familiare.
Il giovane e il vecchio insieme, divisi dall’età ma non dalla pratica politica. Stasera li vedremo in tv (su La7, ospiti di Mentana alle 22.30, ndr) su fronti opposti a duellare sul referendum, e l’attuale premier si è scelto l’avversario ritenendo di poter provare, grazie all’anagrafe, dov’è il nuovo e dove il vecchio. Chi innova e chi conserva, chi rompe e chi restaura.
Invece è un semplice effetto ottico, è la linea di demarcazione fittizia di un potere condiviso e immutabile, decisivo e immortale.
Non solo perchè i due hanno amato e militato nello stesso partito, ma perché i due amano la medesima idea di conquista del consenso. I bonus che Renzi da presidente del Consiglio elargisce a pioggia producendo altro buco su un bilancio già disastrato equivalgono per dose e intenti alle mance che la Democrazia cristiana, quando De Mita ne era il reggente, distribuiva verso i ceti affluenti che sostenevano il proprio potere eterno a prescindere dalle compatibilità di cassa.
Questa foto spiega più di mille altre che la rottamazione, intesa come cambio di sistema e di governo oltre che di persone, è pura millanteria, disegno virtuale e fantastico con il quale cambiando d’abito s’intende che è cambiato il monaco.
Invece, e purtroppo, l’abito non fa il monaco.