In Italia è in atto una lotta di classe generazionale. E i vecchi stanno vincendo. Visto che la tv e i giornali sono guardati e letti ormai da minoranze con i capelli bianchi, si è diffusa in questo Paese la singolare idea che siano i pensionati e i pensionandi le vittime della crisi di cui occuparsi con urgenza. Niente di più falso.
Il problema invece sono i giovani. Sì, lo so, sono anni che veniamo bombardati dai nuovi record della disoccupazione giovanile. Ma poi giornali e talk show, se vogliono essere seguiti, si riempiono di approfondimenti sulle pensioni. E il governo in cerca di voti, cosa fa? Aumenta le pensioni e investe sul pensionamento anticipato. Come se un malato di appendicite rimandasse l’operazione perché ha deciso che è più urgente rifarsi il naso.
Due giorni fa all’Università Bocconi di Milano sono state presentate interessanti ricerche frutto di un progetto promosso da Jp Morgan, New Skills at Work, in collaborazione con l’Ateneo meneghino. Ci sono molti spunti su cui magari tornerò, ma il grafico che trovate qui sotto mi ha colpito particolarmente. Perché rivela quanto sia sbagliata la percezione diffusa della crisi in Italia, quanto sballate le priorità che si è data la politica (non soltanto il governo Renzi).
Il numero dei disoccupati di lungo periodo tra i giovani è incredibilmente più alto che nelle altre fasce d’età. Ed è di gran lunga lo squilibrio più evidente: neppure lo squilibrio Nord-Sud è fonte di una disuguaglianza così grande nelle prospettive come quella tra giovani e vecchi. E se fate il confronto con gli altri Paesi, osserverete che è anche un fenomeno tutto italiano. Negli Usa o negli altri Paesi Ocse i giovani non sono stati così abbandonati. Come ricostruisce la ricerca Bocconi-Jp Morgan, altrove il tasso di disoccupazione a lungo termine è cresciuto tra 2008 e 2011, poi si è stabilizzato o ha iniziato a ridursi. Soltanto in Italia ha continuato a crescere senza sosta.
La disoccupazione di lungo periodo è quella più pericolosa: porta a cicatrici indelebili in termini di autostima, di prospettive, di mancate opportunità, di scelte di vita irreversibili. Chi si trova senza nulla da fare tra i 25 e i 30 anni rischia di non riprendersi più, sarà sempre indietro rispetto a chi è rimasto nel mercato del lavoro, non si specializza, rinuncia a sposarsi e a fare figli e così via.
I lavoratori a fine carriera hanno dovuto subire la riforma Fornero che ha allontanato la pensione, ma appena l’economia ha iniziato a rifiatare sono stati i primi a essere cercati da imprese troppo piccole o spaventate per scommettere sul dinamismo invece che sull’esperienza. Come ha sottolineato su Il Fatto Quotidiano la ricercatrice Marta Fana, nei primi 30 mesi del governo Renzi si sono registrati 820.000 occupati in più nella fascia di età 50-64 anni. Mentre ci sono 37mila occupati in meno tra chi ha 25-34 anni e c’è stata una riduzione di addirittura 301mila nella forchetta 35-49.
Morale: cari politici, caro premier quarantenne Renzi, caro sottosegretario alla presidenza Tommaso Nannicini, i pensionandi e i pensionati dovrebbero essere l’ultimo dei vostri pensieri. Non il primo.