"Non è una cosa che dobbiamo perdere", dicono i protagonisti dell'inchiesta sulle infiltrazioni in diversi cantieri lombardi. Oggetto, la nuova struttura sorta ad Arese (Milano) sulle ceneri dello storico stabilimento dell'Alfa Romeo. Secondo l'accusa, le ditte all'opera erano riconducibili alle potenti cosche Piromalli, Bellocco e Aquino-Coluccio. E la presunta "testa di legno" si vanta su Linkedin: "Ho realizzato tutti i cluster di Expo2015"
“Non è una cosa che dobbiamo perdere, se riusciamo a prendere pure un pezzo di supermercato, là, di centro commerciale”. Nell’intercettazione del 18 luglio 2014, l’amministratore delegato della “Infrasit srl” Pino Colelli e Salvatore Piccoli, entrambi indagati nell’inchiesta “Rent” sulla presenza di aziende legate alla ‘ndrangheta in importanti appalti lombardi, non parlano di una bottega alimentare nella periferia di Milano. Si tratta, invece, del più grande ipermercato d’Europa, quello di Arese, nato sui terreni dello storico ormai ex stabilimento dell’Alfa Romeo. Il subappalto ha nove zeri e la ‘ndrangheta vuole e ottiene la sua parte. Le indagini, condotte dalla Guardia di finanza di Locri con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, hanno svelato che le cosche Aquino-Coluccio di Marina di Gioiosa Jonica, Piromalli di Gioia Tauro e Bellocco di Rosarno non si sono interessati solo dell’Expo 2015.
“Ci faranno fare il secondo lotto dei lavori che comprende, per circa 400-500 mila euro, parcheggio, muro di sostegno, gli ingressi al centro commerciale”. Salvatore Piccoli, il vero “dominus” per gli inquirenti dell’Infrasit, vuole di più e fornisce le sue direttive a Colelli, “testa di legno” della società: “Ora gli facciamo un po’ di pressione a Gianluca comunque”. “Un po’ di pressione con Gianluca la possiamo fare – è la risposta di Colelli – ma vedi che Taverna è abbastanza disponibile con noi, molto probabilmente perché Gianluca gliene ha parlato di noi e in cantiere l’altra volta dicevano che quando c’è da lavorare la sera i loro (operai) si fermano anche dopo le cinque e le altre aziende se ne vanno tutte e comunque noi ora la facciamo un po’ di pressione, dai”.
I subappalti dell’Expo come quelli dell’ipermercato Arese, ma anche gli appalti di Malpensa, la realizzazione di una diga e l’ampliamento di un fabbricato industriale a Turbigo. La guardia di finanza parla di uno stratagemma con il quale, di fatto, la ‘ndrangheta si è infiltrata nei lavori pubblici della Lombardia. Naturalmente con i calabresi non c’era bisogno di mettere nulla per iscritto. Si legge, infatti, nell’informativa: “Tutti i lavori sono stati stipulati senza registrare ufficialmente dei contratti (anche se, verosimilmente, saranno state redatte delle scritture private da registrare solo in caso d’uso) e, quindi, senza lasciare alcuna traccia nelle banche dati dell’Ufficio del Registro”.
Eppure, quasi tutti i lavori edili eseguiti dagli indagati sono stati appaltati dalla società “Cooperativa Viridia” o “Itinera Spa” e successivamente subappaltati a varie ditte, tra cui l’Infrasit. Ed è questa società che, secondo gli inquirenti, sarebbe stata utilizzata dai principali indagati, Salvatore Piccoli, Antonio Stefano (braccio destro del boss Giuseppe Coluccio) e Giuseppe Gentile, per rastrellare appalti e lavori in Lombardia.
Nella Infrasit srl, Pino Colelli figura quale amministratore delegato. Solo sulla carta, però, perché stando alla ricostruzione fatta dalla guardia di finanza e alle intercettazioni registrate durante le indagini, Pino Colelli “di fatto non aveva alcuna voce in capitolo nella gestione societaria”. Gestione che, di fatto, secondo i pm di Reggio, era di “esclusiva competenza” dei principali indagati ritenuti referenti delle famiglie mafiose della Locride e della Piana di Gioia Tauro.
Se si confronta il profilo Linkedin di Pino Colelli con quanto scrivono le fiamme gialle, infatti, è quasi imbarazzante come la realtà non corrisponda all’immagine che l’imprenditore dà di sé sulla rete. La sua sottomissione, invece, appare totale rispetto ai veri proprietari della Infrasit. In qualità di amministratore delegato della società, infatti, Colelli si presenta sul social network come il principale artefice della realizzazione di tutti i cluster e dell’installazione delle canalizzazioni superficiali dell’Expo 2015, della realizzazione del parcheggio di Arese, della ristrutturazione della Stazione di Cormano dell’ampliamento della tratta autostradale di Bereguardo e dell’ammodernamento tratta ferroviaria Turbigo-Castano Primo per conto di Ferrovie Nord. Tutte opere realizzate tra il 2014 e il 2015 quando, invece, secondo gli investigatori, Pino Colelli avrebbe svolto il ruolo della “testa di legno” dei calabresi.
Erano gli anni in cui, anche “per effettuare pagamenti di competenza della Infrasit”, l’amministratore delegato doveva “chiedere – è scritto nell’informativa – l’autorizzazione a Salvatore Piccoli”. Era quest’ultimo, infatti, a dare le disposizioni ai dipendenti. Pur “risultando” lui stesso un lavoratore “a nero”, Piccoli è il “vero e proprio proprietario insieme a Gentile e Stefano”. E Colelli? Doveva “chiedere l’autorizzazione a Piccoli anche per fare assumere suo figlio Amerigo per la compilazione delle buste paga degli operai”.
I calabresi ordinavano e l’amministratore eseguiva “pedissequamente tutte le direttive ricevute”. Ma quando Colelli “incomincia a intraprendere delle iniziative in ‘autonomia’”, viene estromesso dalla società di cui è amministratore delegato. I tre proprietari, infatti, lo avrebbero “privato senza alcun preavviso finanche dell’auto aziendale, lasciandolo sprovvisto di automezzo”. E come se non bastasse, lo avrebbero costretto a lavare la Mini Cooper prima di restituirla alla società.