Le ipotesi di reato sono malversazione, falso in bilancio e bancarotta fraudolenta. L'indagine penale è quella denominata 'Undertone', condotta dalla Guardia di Finanza di Rimini per fare chiarezza sul fallimento delle società legate al quotidiano. Disposta anche una misura interdittiva di divieto di contrattare con la pubblica amministrazione per cinque società ed il sequestro preventivo di beni per un ammontare complessivo di circa 9 milioni di euro
Malversazione a danno dello Stato, falso in bilancio e bancarotta fraudolenta. Sono queste le ipotesi di reato contestate a Gianni Celli, fondatore della testata giornalistica Voce di Romagna, che oggi è finito agli arresti domiciliari su provvedimento del gip. L’indagine penale è quella denominata ‘Undertone‘, condotta dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Rimini per fare chiarezza sul fallimento delle società legate al quotidiano romagnolo. Disposta anche una misura interdittiva di divieto di contrattare con la pubblica amministrazione per cinque società ed il sequestro preventivo di beni per un ammontare complessivo di circa 9 milioni di euro.
La vicenda legata alla Voce di Romagna è emersa a maggio 2015, quando i giornalisti hanno reso pubblica la loro situazione e chiesto il pagamento di quasi un anno e mezzo di stipendi arretrati. In quell’occasione la Procura della Repubblica di Rimini ha aperto un fascicolo d’indagine per truffa aggravata ai danni dello Stato a carico di Gianni Celli (amministratore e presidente del giornale). Secondo gli accertamenti della Guardia di finanza i contributi pubblici all’editoria percepiti fino al 2011 sarebbero finiti ad altre società, non solo a quella editrice del quotidiano. Già dal 2014, del resto, il giornale romagnolo (che copre le province di Ravenna, Rimini e Forlì-Cesena) aveva i conti in rosso e non pagava giornalisti, collaboratori e fotografi. Dal 2003 in poi, tuttavia, la Voce ha beneficiato di quasi 21 milioni di euro di fondi pubblici. L’ultima quota risale al 2011, ed è pari a oltre un milione e mezzo di euro. Ed è proprio sull’utilizzo di questi soldi che la procura ha voluto far luce. Celli infatti è socio unico della Editrice La Voce. Ma la società proprietaria del giornale a sua volta è controllata da un’altra azienda della famiglia Celli, La mia terra, con sede a Verrucchio, nel riminese, e specializzata nella costruzione e nell’acquisto di immobili.
Nel luglio dello stesso anno, poi, il tribunale di Rimini ha dichiarato il fallimento della Voce di Romagna, evidenziando un buco in bilancio da oltre 11 milioni di euro. Nelle motivazioni della sentenza i giudici non avevano usato mezze misure nel descrivere la situazione: “Lo stato d’insolvenza è acclarato dal mancato adempimento delle obbligazioni nei confronti dei creditori e dalla ingente perdita maturata nell’esercizio 2014″. Le istanze di fallimento erano state proposte dalla Procura, da due ex direttori, dalla Casagit e da un gruppo di redattori.