Per l’ennesima volta l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato una risoluzione con la quale ha chiesto la fine immediata del bloqueo contro l’economia e la società cubana, da tempo decretato dall’amministrazione statunitense che, nonostante le recenti aperture, continua a infliggere multe salate a chiunque cooperi con Cuba.
La novità, per certi versi positiva ma per altri alquanto paradossale, è che il governo statunitense stavolta non ha votato contro, ma si è limitato ad astenersi unitamente al suo fedele vassallo Israele. La rappresentante statunitense Samantha Powers ha anzi dichiarato come la risoluzione sia la migliore dimostrazione che la politica di isolamento degli Stati Uniti contro Cuba non ha funzionato. Palese ammissione autocritica, dalla quale però purtroppo non sembrerebbero derivare tutte le conseguenze che dovrebbero. Come accennato infatti, il bloqueo continua e vi è motivo di ritenere che non si tratti solo di inerzia burocratica.
L‘intervento di Samantha Powers è stato per molti versi interessante. Pur ribadendo determinate critiche al governo cubano, la rappresentante degli Stati Uniti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha ammesso che quella democrazia e quei diritti umani che il suo governo reclama da altri Paesi richiedono a casa propria un lavoro che ancora deve essere fatto, e che troppo spesso democrazia e diritti umani sono stati usati dal governo di Washington come pretesto per ingerirsi negli affari interni di altri Paesi.
Altro importante riconoscimento contenuto nel discorso di Powers riguarda l’impegno di Cuba contro l’ebola in Africa; a tale riguardo Powers ha evocato la figura dell’eroe cubano Felix Sarria Baez, un medico che ha contratto l’infezione mentre si trovava in Sierra Leone e che, appena guarito, ha scelto di tornare nel Paese africano per combattere la malattia.
Queste parole sono però purtroppo in contrasto con la pratica del governo degli Stati Uniti nella regione. Non solo il bloqueo per molti aspetti continua rendendo difficili i rapporti economici o di altro tipo con Cuba, ma continuano anche le ingerenze, come dimostra la scelta di dichiarare che il Venezuela bolivariano costituirebbe addirittura un pericolo per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, così come si sono registrati appoggi a golpe e tentativi di golpe in vari Paesi della regione latinomericana, a cominciare dall’Honduras.
Difficile prevedere cosa accadrà in futuro, dato che ancora incerto appare l’esito delle prossime elezioni presidenziali statunitensi e che i presidenti, chiunque essi fossero, a cominciare da Obama che aveva preso possesso della propria carica con grandi ambizioni e ottimi proponimenti, hanno poi dovuto cedere di fronte alle lobby potenti della finanza, del petrolio e dell’industria militare. Queste ultime, che sono le vere detentrici del potere decisionale alla faccia della “democrazia più antica del mondo” intendono la sicurezza nazionale come sicurezza dei propri interessi e del proprio diritto a continuare a fare il bello e cattivo tempo ovunque e ad accumulare ingenti profitto alle spalle di tutti i popoli, a cominciare da quello degli Stati Uniti.
Questo spiega prese di posizione apparentemente demenziali come quella relativa al Venezuela bolivariano. Se tutti i Paesi e i popoli dell’area fossero lasciati liberi di prendere in piena autonomia le decisioni che li riguardano, le cose andrebbero certamente meglio. Ma garantire l’esercizio del diritto di autodeterminazione è cosa in assoluta e insanabile contraddizione con il concreto esercizio del potere imperiale. E su questo come molti altri piani le chiacchiere stanno a zero.
Quello che invece appare innegabile, e il voto sulla risoluzione di cui parliamo ne costituisce un sintomo importante insieme a molti altri, il potere degli Stati Uniti sul mondo è in evidente fase di declino. Declino che certamente sarebbe aggravato dall’arrivo, che non è certamente da escludere, di una figura grottesca come Donald Trump alla Casa Bianca, ma neanche Hillary Clinton sarebbe in grado di fare granché per arginare la decadenza in atto.
Unica soluzione, per il popolo statunitense, rinunciare a pretese di primazia e di “destino manifesto” e prendere atto di essere uno Stato come altri, certamente più ricco e potente di molti altri, ma che non per questo si deve arrogare il diritto di esercitare il ruolo di gendarme del mondo, i cui problemi vanno discussi in modo democratico nelle istanze internazionali a ciò delegate.
E’ doveroso infine un pensiero per il popolo e il governo cubano che, con questa nuova e significativa vittoria dimostrano ancora una volta che la verità e la giustizia stanno dalla parte di chi non si piega al potere imperiale, ma continua, con l’ostinazione e la coerenza che derivano dalla consapevolezza di essere dalla parte giusta, a praticare, tra tante difficoltà, il suo cammino indipendente e ispirato agli ideali più alti della storia umana. Stare al suo fianco oggi significa continuare la lotta per porre fine al bloqueo e per rapporti armoniosi, forti e liberi da condizionamenti esterni di Cuba con il resto del mondo.