Rosemary’s Baby (1968) di Roman Polanski
Polanski è il regista più sinuosamente orrorifico delle nouvelle vague anni sessanta europee poi diventate cinema art house da festival. Ogni suo film possiede un’anima nera, nascosta, un doppelgangerpubblico/privato da spavento, anche quando parla di Olocausto. E Rosemary’s baby ne è l’apice drammaturgico. La griglia narrativa si chiude stringendosi come una morsa addosso a Rosemary, giovane casalinga che lentamente deperisce dopo essersi trovata incinta (forse) dal marito Guy. In realtà è come finita dentro ad un gorgo/trappola in cui il demonio l’ha impalmata, grazie all’aiuto di due vecchietti vicini di casa, per dare alla luce l’anticristo. Dall’interno giorno/notte dell’edificio residenziale Dakota di New York non si riesce ad uscire mai. Un anno dopo Sharon Tate, la moglie di Polanski, venne uccisa dal satanista Charles Manson.