Ma Trump trascende tutto ciò. Dice che per raggiungere questi obiettivi basilari occorre un uomo dal pugno duro, senza vincoli di alcun genere, al di sopra di ogni partito, “assassino” qualora dovesse trovarsi faccia a faccia coi sindacati o coi media ostinati a difendere obbligatoriamente un sistema che non funziona più. Si sente l’uomo della provvidenza, e questo ci ricorda qualcuno di cui non sentiamo affatto la mancanza… Infine, last but non least (ultimo ma non meno importante), non passa giorno che Trump non rivendichi la capacità, ovviamente autoproclamata, di dirigere e scegliere i “migliori” dispensandolo dalla seccatura istituzionale dei dettagli programmatici. E’ l’uomo che rifiuta la complessità. Che colleziona gaffe e che si giustifica: “Una piccola iperbole non fa mai male. La gente vuole credere in qualche cosa di più grande, di più spettacolare. Ecco, chiamo questo un’iperbole verosimile” (The Art of the Deal, Random House, 1987). E’ un caterpillar che spiana chiunque, persino chi è stato decorato al valor militare, come John McCain, prigioniero dei vietnamiti, affermando che ama piuttosto “chi non è stato catturato”. Per conquistare i voti più oltranzisti, dice che farà costruire un muro “più alto, più grande, più lungo” tra Messico e Stati Uniti, e che imporrà i costi al governo messicano. Impersona il candidato “scorretto in un paese che è diventato esageratamente corretto”. Sono provocazioni? O sono sintomi insurrezionali?

L’abilità di fare affari? Una mistificazione che cela una realtà di sotterfugi e fallimenti a catena

Vuole mano libera: per convincere l’elettorato che lui è l’opzione più formidabile, portando ad esempio la sua abilità di fare affari e di vivere da nababbo. Una mistificazione: perché quest’affermazione cela una realtà di sotterfugi e fallimenti a catena, e se è sopravvissuto finanziariamente ai suoi sbagli lo deve ai miliardi del padre e a 3500 procedimenti amministrativi e giudiziari in cui è rimasto implicato (dai crac di alcuni casinò, alle grane nel settore degli immobili, sino alle cause per diffamazione) che hanno rallentato la caduta o sventato la prigione, nonché al fatto che da quasi vent’anni non paga le imposte, grazie all’abilità dei suoi commercialisti, questo sì un lusso e un privilegio per pochissimi. Al famoso presentatore Larry King ha confessato di avere guadagnato più di un milione di dollari per un discorso sul suo senso del business: si è scoperto che l’avevano pagato 400mila dollari. Alla Cnbc, un network che dedica molti servizi alla finanza, ha detto che le 1282 unità nei suoi hotel residence di Las vegas “sono stati venduti in meno di una settimana”. Mentiva: mentre lo dichiarava, ce n’erano ancora 300 invenduti. Al giudice che lo ha interrogato sulla falsa dichiarazione, ha risposto: “Parlavo a una tv. Sforiamo in tutti i modi per dare la migliore immagine alle nostre proprietà”. Di recente, a chi gli ha chiesto ragione di tre fallimenti immobiliari e del relativo debito e della bancarotta sfiorata negli anni Novanta, ha dimezzato le perdite (erano state di 650 milioni di dollari): continuando a recitare la parte del re Mida americano…

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