Né insisteremo sul vasto e sovente volgare repertorio delle accuse populiste tanto riverberate dai nostri trumpini, la Clinton è superba, arrogante, è antipatica, è bugiarda, è legata ai poteri forti – già, perché invece Trump… – occhio agli intrecci d’affari di Bill e Hillary, è ciarpame che i mass media utilizzano per orientare le elezioni. Negli Stati Uniti, ossessionati dal declino – come succede del resto in Europa – indeboliti dalle divisioni e travolti dalla rabbia contro la globalizzazione che la gente ritiene il becchino del “sogno americano”, la fiducia verso i politici è a livelli infimi. I primi ad esserne consapevoli sono proprio loro, i politici sui quali si rovesciano risentimento e veleni, un cocktail micidiale. Make America great again, facciamo tornare ancora grande l’America, è il ritornello patriottico ma non solo cui presta l’orecchio anche la raffinata avvocatessa Hillary Diane Rodham, nata a Chicago il 26 ottobre del 1947, sotto il segno scontroso e orgoglioso dello Scorpione, studi al prestigioso college femminile Wellesley, già una star quando conosce alla prestigiosa Yale University – era la fatal primavera del 1971 – il brillante Bill Clinton, borsa di studio Rhodes a Oxford. Mentre Bill perora la causa del provinciale Arkansas in assemblee che lo sopportano a mala pena, di lei parlano i giornali nazionali, con tanto di foto (per esempio Life, il Boston Sunday Globe e il New York Times). Era infatti diventata famosa per avere apostrofato con inusuale irriverenza il potente senatore repubblicano del Massachussets, Edward Brooke. Avvenne il 31 maggio del 1969: uno choc, per i repubblicani, visto che l’eloquente Rodham era stata presidentessa del club universitario dei giovani repubblicani.

Era diventata famosa per avere apostrofato con inusuale irriverenza il potente senatore repubblicano del Massachussets, Edward Brooke

Sì, avete letto bene: Hillary è stata fervente repubblicana. Addirittura una “Goldwater girl” ( il nome del candidato ultraconservatore alle presidenziali del 1964). Nel fatidico 1968 delle manifestazioni studentesche fragole e sangue, aveva partecipato alla Convention del Gran Old Party, a Miami. Ma al college femminile Wellesley ecco la clamorosa conversione: Hillary scopre gli orrori del Vietnam, le discriminazioni razziali, le lotte per l’emancipazione civile e le battaglie cruciali che portarono a epocali sconvolgimenti sociali. Cresciuta nel confort ideologico dei benestanti sobborghi bianchi d’America degli anni Cinquanta, Hillary Rodham indossa i panni della paladina contro le ingiustizie, abbraccia sacrosante battaglie femministe, ingaggia estenuanti lotte per la parità dei diritti, partecipa alle manifestazioni contro la guerra, s’infiamma per cambiare il mondo, e perché il mondo possa distinguere la verità dalla menzogna. A volte, anzi sempre, il silenzio è vergogna. Lo pensava allora. Adesso ha capito che la politica è compromesso. Che governare è talvolta dissimulare. Che per mantenere libertà e democrazia non sempre si può essere idealisti puri, ma bisogna essere, all’occorrenza, duri, intransigenti. Persino cinici. Con Putin, non ci sarebbe un calar di brache, pardòn, un abbassar di gonna. Come in passato, la Clinton gli ha dimostrato freddezza e diffidenza. Per questo Putin le sta intralciando la strada con le hackerate che sono agguati.

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