Dopo l'arresto del direttore e di 13 giornalisti del quotidiano d'opposizione, Stati Uniti e Unione europea si dicono preoccupate. Ankara replica: "Non siamo un Paese da mettere in riga". Intanto il premier insiste: "Pronti a reintrodurre la pena di morte"
La Turchia non è un Paese da mettere in riga e le “linee rosse” dell’Europa sulla libertà di stampa non interessano al governo turco. Ankara risponde così alle prese di posizione preoccupate espresse da Stati Uniti e Unione Europea dopo l’arresto del direttore e 13 giornalisti del quotidiano d’opposizione Cumhuriyet con accuse di contiguità con organizzazioni terroristiche. “Fratello, non ci interessa la tua linea rossa” ha dichiarato il premier turco, Binali Yildirim, rivolgendosi al presidente del Parlamento europeo Martin Schulz. “E’ la gente – sottolinea – che traccia la linea rossa. Che importanza può avere la vostra?”. Schulz aveva affermato su Twitter che gli arresti segnano il superamento di “un’altra linea rossa” contro la libertà di espressione nel paese. “La Turchia non è un Paese da mettere in riga con colpi a salve e minacce. La Turchia prende il suo potere dal popolo e risponderà al popolo”, ha ribadito Yildirim.
Intanto decine di persone si sono radunate davanti alla sede di Cumhuriyet, l’ultimo colpito dalla censura di Erdogan. In prima pagina la promessa della redazione: “Non ci arrenderemo. Anche se i dirigenti e i giornalisti di Cumhuriyet saranno arrestati, il nostro quotidiano continuerà la sua lotta per la democrazia e la libertà fino alla fine”.
Gli arresti in Turchia non si fermano. Oggi è toccato a 28 dipendenti del Consiglio supremo turco per la radio e la televisione (il Rtuk), tra cui il vice-capo, accusati di legami con la presunta rete golpista di Fethullah Gulen. Ventuno di questi sono già stati fermati in operazioni di polizia in 5 diverse province.
E il governo insiste: “Pronti a reintrodurre la pena di morte”
Quanto ai diritti civili, la questione si allarga dalla libertà di stampa alla pena di morte. Il premier Yildrim ha detto che la Turchia potrebbe approvare una “misura limitata” per riportare in vigore la pena capitale, sulla quale si era già espresso favorevolmente il presidente Erdogan. Il Paese l’ha formalmente eliminata nel 2004, nell’ambito del processo di adesione all’Unione europea, ma esecuzioni non avvenivano dal 1984. Le autorità dell’Ue hanno avvertito che la reintroduzione potrebbe decretare la fine dei colloqui per l’ingresso nel blocco comunitario (anche se le relazioni tra Europa e Turchia sono già deteriorate e forse compromesse da tempo).
L’unico ostacolo che resta è quello di trovare un accordo politico per cambiare la Costituzione. “Non saremo sordi alle richieste del popolo” ha affermato Yildirim, precisando però che “vogliamo far sapere che questo non sarà fatto da noi da soli e che la misura non si applicherà in modo retroattivo”. In questo senso, dunque, la misura non sarebbe applicata a coloro che sono considerati coinvolti nel fallito golpe di luglio. A dare la disponibilità per votare la pena di morte arrivano subito i nazionalisti dell’Mhp, forza politica di minoranza di estrema destra che nella Grande Assemblea Nazionale esprime 40 deputati. In Turchia “il popolo vuole la pena di morte. Se l’Akp (partito di Erdogan, ndr) è pronto, l’Mhp è sempre stato pronto” ha ribadito oggi il leader dell’Mhp, Devlet Bahceli. Con i voti dei nazionalisti, l’Akp avrebbe una maggioranza sufficiente per un emendamento costituzionale che reintroduca la pena capitale, da sottoporre poi a un eventuale referendum popolare.