L’unico film italiano in concorso al 20°POFF Tallin Black Night Film Festival, la più importante rassegna cinematografica del nord Europa, è Caina di Stefano Amatucci. Liberamente tratto dall’omonimo romanzo (Fandango, 2009) di Davide Morganti, uno dei più originali scrittori italiani.
Un film che racconta i nostri giorni e che per questo motivo è rientrato nel progetto Off the wall, il cui scopo è quello di presentare i lavori di registi europei che parlino della storia e delle tematiche che riguardano l’Europa degli ultimi anni. Caina nel libro era una killer della camorra, che sentiva le voci dei morti ammazzati, ma nella trasposizione cinematografica la storia cambia. “Il film – spiega Morganti – si discosta ampiamente dal romanzo. Caina nel film è una trovacadaveri, una donna che, seguendo le leggi dello Stato, raccoglie i morti annegati dei migranti e li porta in un centro dove le vengono pagate delle quote a capo”.
Come nacque l’idea di una killer napoletana?
L’idea nasce da lontano, nel 1997 quando scrissi un racconto, La malagrazia, parlava di una donna che uccideva per i clan, solo che soffriva di crisi di panico e sentiva i morti nel cemento. Diego De Silva mi disse: fanne un romanzo, io per anni ci pensai, infine lo scrissi e lo lasciai lì come tante altre cose che scrivo. Un giorno mi chiamò Roberto Saviano per dirmi che Mario Desiati intendeva pubblicare qualcosa di mio per Fandango e scelse, tra i vari testi, Caina.
Vincenza, ovvero Caina, nel libro è una spietata killer, ma nel film diventa una trovacadaveri.
La sceneggiatura, del romanzo, ha mantenuto il razzismo, la ferocia, la gratuita ostilità di una donna eslege. C’è, poi, Ziviello, interpretato da una grande del teatro italiano come Isa Danieli, responsabile del Centro dove si raccolgono i morti, che altera il numero dei cadaveri per ottenere maggiori guadagni. È storia di questi giorni che un imprenditore di Potenza abbia falsificato il numero di migranti presenti nella sua struttura per avere più soldi!
Com’è stato vedere la propria opera trasportata al cinema?
Sono stato più di una volta sul set a Varcaturo, al Villaggio Coppola e al Fusaro, purtroppo sono uno che non si emoziona facilmente e infatti ho vissuto la cosa con molto, forse troppo distacco, come se non l’avessi scritta io. Ero una specie di spettatore a bordo campo che poi spariva mentre il resto della troupe continuava. Ho avuto, però, modo di conoscere attori bravi come Gabriele Saurio, Helmi Dridi e Diego Sommaripa.
Hai scritto la sceneggiatura del film, in collaborazione con Stefano Amatucci. Quanto è stato difficile?
Siamo nella fantapolitica, dunque il pericolo era di fare dell’emigrazione un fatto troppo metafisico e con Stefano ho provato ad evitarlo. L’idea era di dare una dimensione tragica ma anche surreale, lontana dal realismo cronachistico con cui spesso è trattata la questione degli sbarchi clandestini in Italia. Io e Stefano abbiamo cercato di creare un personaggio vero e incredibile, capace di rimuovere un morto come fosse un pezzo di polistirolo e allo stesso tempo essere afflitto da solitudine e paura, soprattutto tormentato dal dolore dei morti rappresi nel cemento e che le parlano di continuo. Caina, interpretata da una strepitosa Luisa Amatucci, non dialoga, emana sentenze, parla per prevenzione continua, è crudele, volevamo questo e ci siamo presi il rischio di risultare apodittici. La difficoltà nel trattare un argomento del genere sta nel non cadere nel patetico o nel didascalismo morale, dove ci sono i buoni e i cattivi.
Te l’aspettavi il film andasse in concorso al 20°POFF Tallin Black Night Film Festival?
Sinceramente no. Bisogna ringraziare la tenacia di Stefano Amatucci, che ha sempre creduto nella mia storia, e il produttore Salvatore Suarato che ha permesso di portare il film a conclusione, dopo aver passato vicende che chiamarle romanzesche è poco. Quindi andare a Tallin, la Capitale dell’Estonia, come unico film italiano in concorso è un onore.