La salvezza del Monte dei Paschi di Siena passa dal referendum costituzionale del 4 dicembre. E’ scritto nero su bianco nella relazione all’assemblea degli azionisti sull’aumento di capitale dell’istituto di credito convocata per il 24 novembre: un’operazione legata all’esito del voto sulla riforma della Carta. Il motivo direttamente dalle parole utilizzate nel documento ufficiale: “I riscontri ottenuti dalle banche del consorzio” di collocamento evidenziano la “sostanziale indisponibilità manifestata dagli investitori istituzionali ad assumere importanti decisioni di investimento relative a società italiane prima di conoscere l’esito del referendum costituzionale“. Quanto riportato nella relazione, del resto, era stato quasi anticipato da Goldman Sachs. Che però aveva fatto un passo ancora più avanti. Secondo gli analisti della banca d’affari Usa coinvolta nella ricapitalizzazione dell’istituto senese, la vittoria del no metterebbe a rischio l’ennesimo salvataggio di Mps. In pratica, quindi, non approvare la riforma dell’esecutivo significherebbe mandare in fumo i risparmi di milioni di cittadini. Nessuna nota invece sulle responsabilità del governo.
Tornando alla relazione, sul punto 3 dell’ordine del giorno Mps sottolinea come il cda abbia ritenuto che il riconoscimento del diritto di opzione agli attuali azionisti della Banca non sia compatibile con le concrete condizioni nelle quali si prevede che l’aumento di capitale debba essere effettuato. Infatti, “in base agli approfondimenti condotti anche con le Autorità competenti è emerso che l’avvio dell’offerta in opzione è tecnicamente possibile solo qualora vengano eliminate, prima dell’avvio del periodo di trattazione dei relativi diritti, tutte le incertezze circa l’effettiva esecuzione dell’aumento”. Ma tutto ciò al momento non è possibile, a causa di due incognite che pesano sulle decisioni degli investitori: innanzitutto le dimensioni stesse dell’aumento di capitale, che dovrebbe essere di 5 miliardi, la cui raccolta attraverso semplici offerte di sottoscrizione risulta difficile; a tutto ciò si aggiunge la sostanziale indisponibilità degli investitori istituzionali ad assumere importanti decisioni prima di conoscere l’esito dal voto del 4 dicembre 2016. “La situazione di perdurante volatilità e incertezza del mercato non consente di dare avvio a un aumento di capitale delle dimensioni attualmente ipotizzate in assenza di un consorzio di garanzia” si legge la relazione. Per questo motivo e “preso atto di tale circostanza”, il cda “ha verificato la possibilità di avviare l’aumento di capitale subito dopo tale data, mantenendo al contempo l’obiettivo della società di completare l’operazione entro il corrente anno o comunque nei minori tempi tecnici consentiti”. Le verifiche condotte hanno dimostrato “la sostanziale impossibilità” di chiudere l’aumento entro l’anno nel caso in cui l’aumento fosse stato offerto in opzione ai soci.
Stando a quanto riporta il Messaggero, inoltre, per la scelta del nuovo presidente di Mps al posto del dimissionario Massimo Tononi, sulla base anche dello screening compiuto da Spencer Stuart, si sta consolidando la linea di optare per una soluzione interna. La nomina avverrà proprio all’assemblea del 24 novembre, ed oltre ad Antonino Turicchi, direttore generale del Tesoro per le privatizzazione che sarebbe sostenuto da Axa (secondo socio con il 3,3%) e che fa già parte del cda, in corsa Roberto Isolani, attuale vicepresidente, entrato in quota Btg Pactual, in passato in Cofiri, Imi e Ubs che avrebbe una lunga frequentazione con Pier Carlo Padoan. La promozione di Isolani libererebbe la vicepresidenza per la quale i privati sono orientati verso il nome di Alessandro Falciai. Tra i nomi reclutati dal cacciatore di teste ci sarebbe quello di Luigi Gubitosi, che potrebbe avere spazio nel caso in cui la soluzione interna non dovesse passare.