Oggi propongo alcune riflessioni sulle quali penso sia importante confrontarsi insieme a chi vuole lavorare con donne vittime di violenza. Giorni fa il Centro antiviolenza D.U.N.A. di Massa Carrara ha criticato l’apertura di uno Sportello antiviolenza su iniziativa del sindacato Unione generale del lavoro (Ugl) e dell’Ente nazionale di Assistenza sociale (Enas). Alla presentazione erano presenti due deputate, l’ex segretario generale dell’Ugl ed ex governatrice del Lazio Renata Polverini, in quota Forza Italia, e la democratica Martina Nardi. Lo sportello sarà gestito da due uomini, Daniele Pepe, responsabile Enas a Massa, e Bruno Quieti, segretario provinciale Ugl.
Le attiviste di D.U.N.A sono preoccupate per il rischio di improvvisazioni sulla pelle delle donne e lo hanno detto forte e chiaro: “I centri sono gestiti da donne con una forte formazione sulla violenza di genere alle spalle, non sono semplici servizi, che rispettano l’autodeterminazione, la libera scelta della donna che inizia un percorso per uscire dalla situazione di violenza per cui cerca aiuto nel rispetto delle linee nazionali e internazionali che prevedono requisiti ben precisi”. Poi le militanti hanno fatto riferimento a un episodio avvenuto sei anni fa, quando uno dei due promotori dello Sportello, Daniele Pepe (all’epoca responsabile regionale di Forza nuova, in particolare del settore giovanile chiamato Lotta Studentesca), organizzò un incontro pubblico contro l’interruzione volontaria di gravidanza e la legge 194; in quell’occasione un gruppo di uomini e donne aggredirono verbalmente con minacce di stupro e ingiurie di carattere sessista alcune femministe intervenute nel dibattito per difendere il rispetto della legge 194. Le donne di D.U.N.A. si domandano come possa operare correttamente una persona che, da una parte, per credo politico, rinnega l’autodeterminazione delle donne garantita dalla 194, e dall’altra, per il ruolo che viene ad assumere presso lo Sportello antiviolenza, deve salvaguardare, allo stesso tempo, il medesimo principio.
La presentazione dello Sportello antiviolenza dell’Enas e Ugl, è stata accompagnata da una locandina con il simbolo femminista e il titolo “Donne e diritti violati. Dal femminicidio alle molestie sul lavoro“. Ma dietro il linguaggio e al simbolo ci sono anche i contenuti legati alla storia e al pensiero che li ha espressi? Se fosse così non ci sarebbero due uomini a lavorare in quello Sportello perché quei contenuti, nati dal pensiero femminista fondano gli interventi sulla relazione fra donne perché è attraverso la valorizzazione reciproca, che la donna sperimenta un Sé positivo che la muova a riprogettare la propria vita. E se non sono quelli i saperi sui quali opererà lo Sportello a Massa Carrara allora perché accreditarsi con quella forma?
Sportelli e Centri antiviolenza sorgono in tutta Italia dettati anche dalla buona volontà di aiutare le donne ma non si conosce che metodologia adotteranno né su quale lettura del fenomeno della violenza fonderanno le loro azioni e i loro progetti.
Esistono già cosiddetti centri e sportelli anti-violenza che violano la convenzione di Istanbul perché svolgono mediazione di coppia che è assolutamente sconsigliata in situazioni di violenza perché espone le donne a rischi e processi di vittimizzazione (purtroppo avviene anche nelle istituzioni quando si confonde conflitto con violenza). Non si dovrebbero allora definire i criteri qualitativi che definiscono che cos’è un centro antiviolenza nel rispetto delle direttive internazionali e anche chiedere ai soggetti che fondano luoghi per le donne vittime di violenza quali metodologie adotteranno, quali analisi sulla violenza, quali letture del fenomeno, quali competenze e quale formazione?
@nadiesdaa