Riaccendo la fiamma, intermittente e indecisa. Prendo contatto, riascolto il languore. Mastico parole, ho necessità del ricordo. Il filo non si spezza, resto appesa a stretti nodi, e mi ritrovo piacevolmente unica. Come lo siamo tutti.
Sento il freddo accumulato nel tempo, nei miei giorni persi ma mai inutili, l’odore dell’asfalto bagnato, l’instabilità delle pietre lisce e riassestate male, il peso di ciò che accade, la potenza della storia.
Le domande si affollano e si scontrano sparse, perdendo il confine delle possibili risposte. Scrivo in versi e sfugge l’analisi, l’inchiostro è in perdita sulla capacità di sviluppo; non trova principio, non cerca facili riscontri. Si assorbe leggero, libero dal senso, dal consueto, dalle forme, dal conforme. Eppure non è mai privo di sostanza, eppure viaggia senza una concreta motivazione.
Cosa vuole dirmi? Lascia aperte le porte, abbraccia tutto nel medesimo istante. Scomposto e in disordine si porta dietro le parole, rianima i pensieri, coglie le sfumature, spiazza la ragione. Traetele voi le conclusioni. Io non ho certezze, non conosco verità. Accarezzo le immagini e cerco la mia strada su questo piano che è infinito, che sembra troppo grande per una strada sola.
Vi passo accanto. Vi sfioro, vi tocco. Poi vi attraverso, mi affanno a trovare una via d’uscita, e all’improvviso, dentro l’assenza e la mancata speranza, sembra che io ne esca sempre viva. Viva comunque. Abbastanza. Eppure, ogni volta, perdo piccoli pezzi di me e assorbo cellule sparse di voi. Addosso, mi resta l’odore ruvido di ogni gradino sul quale mi sono seduta, di ogni muro al quale mi sono appoggiata. Stanca, a respirare piano. Di ogni letto su cui ho sognato e pianto, fatto l’amore, o spento il bottone del “poi ritorno”.
Mi resta ogni scossa di illusione, di speranza, il frastuono delle conquiste e di ogni amarezza. Resta il soffio del mondo, la lentezza inesorabile dello scoraggiamento, l’adrenalina della risalita. “Siate protagonisti del vostro tempo. Siate animatori”. Ho ascoltato così spesso questo slancio alla possibilità, che l’ho fatto mio. Ma questa volta lascio a voi la sintesi. Lascio le sentenze, le riflessioni di senso, gli aforismi. Lascio margine all’interpretazione, al significato.
Io, intanto, mi soffermo ancora un po’ dentro il caos del nostro tempo, dentro il non previsto, o il tragicamente scontato. Dentro questo populismo che non sopporto più, dentro questa banalità del male che contagia, la mediocrità inconsapevole e fiera, dentro le mie invettive e i miei passi indietro. Dentro il capovolgimento del giusto, del corretto, del eticamente inaccettabile che mi confonde e si diffonde.
Io mi godo ancora un po’ questo mio stato di abbandono apparente, perché minuziosamente cosciente; mi godo la ricerca perenne della logica impregnata di non senso. Annaspo tra le assurdità di ciò che osservo, i riverberi dei paradossi di ciò che ascolto, e leggo, ancora per un po’ con quel distacco che non significa disinteresse, ma protezione.
Afferro le catene invisibili della mia altalena in sospensione, prendo un altro slancio, e dondolo tra ciò che la realtà mi propone, la mia opinione, la mia reale possibilità di azione. A volte mi spingo da sola, soffio un sospiro di sollievo, un dubbio che mi attraversa. Soffio fuori la volontà che mi salva.
Se invece sbatto contro il muro, resto lì. Appesa e ciondolante, intontita dal turbinio di ciò che accade, dall’assenza di futuro che è propria della mia generazione. Vi lascio liberi. La libertà è ciò che più si rifiuta in fondo, eppure è così capace! La si afferra al volo, con un colpo di reni, e velocemente può sfuggire via. Ti distrai un attimo, e qualcuno dice ciò che volevi sentirti dire per rassicurazione, quando invece avevi bisogno di tante domande e nessuna conclusione.