Andrò controcorrente nel sostenere che mi capita spesso di condividere le posizioni espresse dal presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Piercamillo Davigo. Tanto per la schiettezza quanto anche per i contenuti. In un Paese conformista, democristianizzato, ipocrita e baciapile, preferisco chi prende posizioni anche rudi ma chiare ed aperte. Tuttavia dal mio punto di vista, Davigo conferma con le sue ricorrenti dichiarazioni la sua (nota da anni) posizione d’insofferenza verso il ruolo dell’avvocatura italiana, nonché la sua visione della giustizia. In chiave psicoanalitica potremmo leggere in questo suo disprezzo, in fondo, un sentimento d’amore.
Il 31 ottobre in occasione di un suo intervento pubblico a Bologna, egli ha ancora dichiarato che: “La prima cosa da fare per far funzionare meglio la giustizia in Italia? Il numero chiuso nelle facoltà di Giurisprudenza. Serve una massiccia depenalizzazione, ma bisogna disincentivare chi fa girare a vuoto la macchina della giustizia. Se dimezzassimo il numero dei processi, si dimezzerebbe anche l’onorario degli avvocati: la politica non è riuscita ad avere ragione della lobby dei tassisti, figuriamoci con gli avvocati. Un terzo degli avvocati dell’Unione Europea sono italiani e oggi il 92% dei laureati in giurisprudenza, visto che la pubblica amministrazione non assume da venti anni e che nelle aziende private ci sono sempre meno sbocchi per i giuristi, diventano avvocati. Gli esseri umani agiscono in base alle loro convenienze e in Italia rispettare la legge non conviene. È vero che all’estero si rispettano di più le regole perché le persone sono più educate. Ma forse lo sono perché sono state educate a forza di sberle”.
Ritengo che in ciò che dice ci siano proposte condivisibili e proposte avulse dalla realtà. Secondo la sua prospettiva in Italia c’è: un radicato clima di illegalità (vero) che non deve essere tutto perseguito penalmente (sensato); la necessità di allungare la prescrizione dei reati importanti (argomento rigettato dai penalisti che ritengono invece imprescindibile la durata certa della conclusione di un processo, a garanzia dell’imputato); dimezzare il numero dei processi (sensato) riducendo il numero degli avvocati (sensato) e “sanzionando” quelli che abusano dei processi (bisogna intendersi sui contorni dell’abuso però).
Occorre però chiarire da un lato come il ruolo dell’avvocatura sia fondamentale e imprescindibile tanto per le sorti della democrazia (nei paesi autoritari una delle prime repressioni colpisce l’avvocatura, oltre al giornalismo), quanto per suggerire al legislatore interventi correttivi e migliorativi (si pensi alle tante iniziative assunte da singoli avvocati contro provvedimenti manifestamente illegittimi e illiberali, dalla legge elettorale al referendum), quanto per il destino delle singole persone.
L’avvocatura partecipa alla giurisdizione in modo quasi paritetico alla magistratura, spesso anche con funzioni delicate di magistrato onorario. E ben conosce cosa non funzioni nel sistema Giustizia e da anni lo indica al Guardasigilli, spesso inascoltata. Si è pure fatta carico all’inizio di realizzare il Processo Civile Telematico per una migliore gestione del carico dei processi.
I mali della Giustizia si possono riassumere così: 1) è ancora oggi male organizzata (passando da tribunali eccellenti a tribunali mediocri; abbiamo vari Processi Telematici autonomi, diversi, incompleti con enorme sperpero di denaro! Perché non uno solo ed applicabile a tutti? Un personale anche carente ma male utilizzato; 2) abbiamo centinaia di prassi diverse a seconda dell’Ufficio Giudiziario (un federalismo surreale); 3) abbiamo giudici eccellenti e giudici mediocri, perché non armonizzarli?; 4) abbiamo un legislatore che continua a scrivere malamente così alimentando contenziosi; 5) abbiamo una Pubblica Amministrazione inefficiente e impunita che continua ad alimentare contenziosi (dall’Inps all’Agenzia delle Entrate); 6) abbiamo un processo esecutivo tortuoso, lungo e incomprensibile che avvantaggia i debitori e punisce i creditori.
Certo, poi è pur vero che il numero dell’avvocatura in Italia è sproporzionato e che andrebbe arginato sin dall’Università, facendo uscire i migliori e i più motivati. Ma l’abuso del processo (che è già sanzionato attraverso il meccanismo della lite temeraria tanto nel civile quanto pure nel penale) non dipende solo dall’avvocatura ma anche da chi scrive pessime sentenze (o con false motivazioni), che poi impongono i successivi gradi di giudizio.
Dunque ben vengano le sue proposte e le sue critiche ma ognuno abbia il coraggio di guardare a casa propria, senza strabismo.