Che i cinesi, con l’infinita varietà dei loro prodotti, siano molto invadenti è cosa del tutto nota ormai. Chi non ha in casa qualcosa con l’etichetta Made in China stampata sul prodotto? Loro sono riusciti, in appena 15-20 anni, a invadere il mondo con una infinità di cianfrusaglie dal valore minimo, sbaragliando però nella competizione globale sul costo per prodotto tutti gli altri concorrenti, anche asiatici.
Vero che tra i paesi industrializzati la competizione era già persa in partenza dato che era (ed è) impossibile competere con chi può pagare la mano d’opera un decimo, o meno, di quello che costa in casa propria. Ma loro si sono imposti anche quando hanno dovuto competere contro nazioni dove il costo della mano d’opera era uguale o persino inferiore a quella cinese. Attualmente solo gli indiani riescono a competere con i cinesi sulle produzioni a scarso valore aggiunto, ma i cinesi hanno una capacità di dedizione a qualunque lavoro, anche ripetitivo e privo di soddisfazioni, probabilmente impareggiabile.
Questa capacità è dovuta probabilmente al fatto che i cinesi, è bene non dimenticarlo, operano in un regime comunista molto severo sulle regole politiche, sociali ed economiche che sono tenuti a osservare strettamente (tanto severe che la Cina è “campione del mondo” anche nel numero delle esecuzioni capitali eseguite ogni anno). Tuttavia in questo secolo il regime comunista ha capito che, un po’ di libero mercato, purché controllato a livello centrale dal regime, può essere utile alla crescita economica.
Finora ha funzionato molto bene. La crescita del prodotto interno lordo degli ultimi 10 anni è stata a dir poco tumultuosa, con picchi di oltre il 20% una decina d’anni fa (vedasi grafico), ma che e’ tuttora ancora attorno al 6%.
Questa imponente e costante crescita ha consentito alla Cina di accumulare immense risorse finanziarie che ora può usare, approfittando anche della lunga crisi che colpisce le ricche democrazie occidentali (grazie a una insensata globalizzazione senza freni) per fare shopping di grandi imprese nel libero mercato occidentale.
In Italia ha fatto certamente notizia, a poca distanza l’uno dall’altro, l’acquisto da parte dei cinesi di entrambe le plurititolate squadre di calcio milanesi. Prima l’Inter e poi il Milan. Ma c’è molto di piu’, ed è il Sole 24 Ore a dirlo: in circa due anni sono già più di 300 le imprese italiane acquistate in tutto o in parte dai cinesi. E questo trend non è certo finito. Dopo la visita in Cina di Renzi in tarda primavera, la Cina non ha trovato ostacoli a far shopping di imprese in Italia.
Sotto un profilo puramente economico è meglio che le nostre imprese vengano acquistate e continuino a lavorare in Italia, piuttosto che vederle sparire all’estero con la delocalizzazione, ma quando il numero cresce così in fretta è certamente un pessimo segnale circa la capacità delle nostro sistema imprenditoriale di rispondere alla sfida del capitalismo globalizzato.
Tra l’altro non è nemmeno un fenomeno solo italiano, la rivista americana Bloomberg Businessweek cita il caso della Kuka, una importante impresa tedesca di robotica (tra i clienti più importanti ci sono Airbus e Audi), che sta pian piano per essere acquistata dai cinesi. Il governo tedesco ha cercato di opporsi, ma la tecnica lenta e “suadente” dei compratori cinesi, ovviamente accompagnata dalla continua necessità di capitali della Kuka per stare al passo con le innovazioni tecnologiche, stanno convincendo anche i tedeschi che sono i soldi a comandare.
Persino la “neutralissima” Svizzera sta per cedere ai cinesi Syngenta, il suo colosso mondiale delle sementi agricole, e questo potrebbe creare seri problemi anche a livello globale nel delicatissimo comparto delle industrie alimentari, già duramente colpite dalla sostanziale recessione globale. L’investimento di circa 43 miliardi di dollari rappresenta quindi una vera occasione per chi non ha problemi di budget da superare.
Vista in sintesi la situazione globale dei tre leader dell’economia globale, si potrebbe concludere che l’economia sociale europea è già in piena fase di resa e di saccheggio da parte degli invasori. Il capitalismo liberista americano è in sostanziale fase di difesa, con i suoi “soldati migliori” che però, invece di battersi, fuggono dall’altra parte. L’economia comunista cinese continua invece a espandersi senza tregua. Di questo passo entro dieci anni saranno loro a comandare l’economia globale (solo l’economia?).